Enzo Bianchi, il priore di Bose a Palermo


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(25 febbraio 2013) – Enzo Bianchi a Palermo: “Le attese e le speranze dell’umanità e le risposte della Chiesa”. L’Arcidiocesi di Palermo, nell’Anno della Fede, ha tracciato un percorso che prevede degli incontri sulle Costituzioni del Concilio Vaticano II e martedì 19 febbraio è toccato a Enzo Bianchi, monaco fondatore della Comunità ecumenica di Bose, presentare in breve la Gaudium et Spes.

Possa, il lettore, fare uno sforzo e scusarmi se quanto segue non si rivelerà una prospettiva critica, ma sarà un’asettica, quanto più fedele e meno filtrata possibile, riproduzione dell’intervento, che – si avverte – non viene concisa appositamente per evitare di sminuirne il portato.

Dentro un momento di preghiera, prima ha preso la parola il cardinale Paolo Romeo per invitare i fedeli alla preghiera vista la decisione del Papa che investe la Chiesa tutta e, definendo il Vaticano II, «sorgente d’acqua fresca che ancora continua a sgorgare»; in seguito, continuando il suo monito introduttivo, il pastore della Chiesa palermitana ha ricordato come Gesù dicesse agli apostoli di non essere ancora pronti e che, per questo, avrebbe inviato loro lo Spirito.

Sempre incastonata dentro le orazioni, dopo la proclamazione del Vangelo (Mt, 5, 13-16), la riflessione del relatore.

Enzo Bianchi, per prima cosa, ricorda le parole di Giovanni Paolo II, dicendo che la possibilità di riflettere sul Concilio Vaticano II sia «la più grande grazia che Dio ha fatto alla Chiesa nel XX secolo», sebbene, come ha aggiunto Benedetto XVI il 14 febbraio di quest’anno, incontrando il clero di Roma, sia «ancora da realizzare in molte delle sue istanze». Proseguendo nello specifico, l’argomentazione verte sulla costituzione pastorale Gaudium et Spes, ingiungendo quanto quest’ultima fosse una lettura sul come i cristiani si collocano nella Storia e come la Chiesa nel mondo. Unicum tra tutti i documenti conciliari, una novità. E precisa, soffermandosi sull’aggettivo, che questa costituzione pastorale è pastorale proprio come Giovanni XXIII affermava di volere tutto il Concilio. Concilio che si rivelò differente da tutti i precedenti. Questa peculiarità la detiene in quanto, proprio come il termine “pastorale” richiama allo sguardo del Buon Pastore sulla Chiesa, sulla Storia, sugli uomini che la abitano e sui problemi che vi si affacciano, questo Concilio non veniva radunato affinché potesse condannare dottrine o uomini, a causa di errori nella fede ed eresie come nel passato. Al contrario, era un Concilio radunato per esprimersi positivamente per esprimere la verità. Questa era l’innovazione di quel Concilio, ripete con forza Bianchi prendendo a prestito il pensiero di Giovanni XXIII, la novità di un vero e proprio «aggiornamento» dei contenuti della fede e la «collocazione» della Chiesa tra gli uomini. Il pontefice di allora voleva una rilettura fatta con lo sguardo di Gesù caratterizzato da «sollecitudine ed ansia» per tutti gli uomini.

C’era, però, pure chi osteggiava il Concilio e vi si opponeva contestandone la sua essenza, risultato troppo innovativo della sua rottura con il passato: un concilio che fosse pastorale era diverso da un concilio dottrinale, teologico. Tale, infatti, era il pretesto addotto per indebolire l’autorità del Vaticano II e declassarlo. Risponde a questo Enzo Bianchi: non ci può essere aspetto dottrinale senza sguardo del Buon Pastore e viceversa. E ritorna con la memoria al passato, al 1983, quando la prima pagina del quotidiano “Avvenire” titolava: «Quando si declasserà il Concilio Vaticano II?».

Nonostante ciò, un atteggiamento positivo si staglia in risposta a queste critiche e si va oltre: per papa Giovanni e per Paolo VI, la verità è sempre pastorale, poiché viene da Dio ma ritorna all’uomo, la verità rivelata e mostrata, quasi offerta, all’uomo. Su questa scia, viene ricordato anche uno stralcio contenuto nel “Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II”, tenuto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, soprattutto nella parte in cui si sofferma sul suo compito precipuo che consiste nel «custodire» e promuovere la dottrina. Così, la novità consiste, quasi, proprio nel fatto che non c’è nuovo dogma e si compie un balzo in avanti: si fa un’operazione di discernimento tra la sostanza della dottrina (che è immutabile) e le sue formulazioni (che, invece, cambiano al variare dei tempi). In questo senso, Bianchi affermi che “pastorale” è detto a questo proposito in senso autenticamente teologico, dottrinale, ma ricco di un profilo pastorale. Quest’innovazione prospettica ha significato mettersi all’ascolto dell’uomo perché il pastore è vero che governa le pecore ma, come ci ha insegnato Gesù, il pastore le ascolta.

Oltre a soffermarsi sull’aggettivo “pastorale”, Bianchi fa seconda precisazione, sottolineando che forse è la prima volta che qualcuno la enuncia, con la consapevolezza di assumersene la responsabilità. Il Vaticano II è stato ed è un concilio ecclesiologico, ma soprattutto, a suo dire, è soprattutto stato un concilio cristologico degli altri di tutto il secondo millennio, in quanto la cristologia, appunto, si ritrovi in modo più diffuso e preciso nei documenti: segno, questo, che al centro del Concilio c’è Gesù Cristo, non la Chiesa. Basterebbe seguire l’ordine cronologico in cui sono stati redatti i documenti per accorgerci che nella costituzione sulla liturgia c’è la riflessione su Cristo nel Mistero Pasquale, morto, risorto e operante nella liturgia, come anche nella costituzione riguardante le Sacre Scritture c’è al centro Cristo, Dei Verbum, Parola di Dio. Nella costituzione riguardante la Chiesa, c’è il corpo di Cristo, che è il Mistero della Chiesa. E nella Gaudium et Spes, in realtà, certo che si parla di Chiesa e mondo, ma lasciando disegnare questo rapporto da Gesù Cristo, l’Uomo, il Adamo per eccellenza, l’immagine della vera umanità, termine di tutta la Storia e di tutta l’umanizzazione.

A questo punto, Bianchi riferisce il pensiero di Joseph Ratzinger, allora giovane teologo presente al Concilio come esterno, che durante l’apertura della II sessione conciliare, il 28 settembre del 1963, scrive nel suo diario ancora inedito: «Ciò che mi ha colpito di più oggi è l’aspetto decisamente cristologico del discorso di Paolo VI: con quale enfasi risuonava l’espressione liturgica “Noi conosciamo solo te, o Cristo”! Come mi ha colpito la conclusione di Paolo VI, quasi un grido: “Cristo presieda lui” [questo Concilio]». Il Vaticano II è stato un concilio cristologico che ha fatto emergere in modo rinnovato il volto di Cristo: conosciuto meglio tramite la Sacra Scrittura; il Cristo, capo della Chiesa (che è corpo); il Cristo presente attraverso la liturgia; un Cristo ritrovato, amico degli uomini e che è presente nella Creazione, per salvarla. La Chiesa è corpo di Cristo. Fu Paolo VI, all’apertura della II sessione conciliare che nel discorso di apertura dei lavori, fece riferimento all’abside della basilica di San Paolo fuori le mura. V’è un mosaico in cui è raffigurato un Cristo pantocratore, ammantato di maestà regale, Re dei Re, con ai piedi un nanetto, papa Onorio III che gli bacia i piedi. Sempre Ratzinger scriveva: «Il Papa scompare di fronte al Signore, Cristo Re dell’Universo». Come in questi giorni, in cui il pontefice si è ritirato: è Cristo che regge la Chiesa, non il Papa.



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(25 febbraio 2013) – Enzo Bianchi a Palermo: “Le attese e le speranze dell’umanità e le risposte della Chiesa”. L’Arcidiocesi di Palermo, nell’Anno della Fede, ha tracciato un percorso che prevede degli incontri sulle Costituzioni del Concilio Vaticano II e martedì 19 febbraio è toccato a Enzo Bianchi, monaco fondatore della Comunità ecumenica di Bose, presentare in breve la Gaudium et Spes.

Possa, il lettore, fare uno sforzo e scusarmi se quanto segue non si rivelerà una prospettiva critica, ma sarà un’asettica, quanto più fedele e meno filtrata possibile, riproduzione dell’intervento, che – si avverte – non viene concisa appositamente per evitare di sminuirne il portato.

Dentro un momento di preghiera, prima ha preso la parola il cardinale Paolo Romeo per invitare i fedeli alla preghiera vista la decisione del Papa che investe la Chiesa tutta e, definendo il Vaticano II, «sorgente d’acqua fresca che ancora continua a sgorgare»; in seguito, continuando il suo monito introduttivo, il pastore della Chiesa palermitana ha ricordato come Gesù dicesse agli apostoli di non essere ancora pronti e che, per questo, avrebbe inviato loro lo Spirito.

Sempre incastonata dentro le orazioni, dopo la proclamazione del Vangelo (Mt, 5, 13-16), la riflessione del relatore.

Enzo Bianchi, per prima cosa, ricorda le parole di Giovanni Paolo II, dicendo che la possibilità di riflettere sul Concilio Vaticano II sia «la più grande grazia che Dio ha fatto alla Chiesa nel XX secolo», sebbene, come ha aggiunto Benedetto XVI il 14 febbraio di quest’anno, incontrando il clero di Roma, sia «ancora da realizzare in molte delle sue istanze». Proseguendo nello specifico, l’argomentazione verte sulla costituzione pastorale Gaudium et Spes, ingiungendo quanto quest’ultima fosse una lettura sul come i cristiani si collocano nella Storia e come la Chiesa nel mondo. Unicum tra tutti i documenti conciliari, una novità. E precisa, soffermandosi sull’aggettivo, che questa costituzione pastorale è pastorale proprio come Giovanni XXIII affermava di volere tutto il Concilio. Concilio che si rivelò differente da tutti i precedenti. Questa peculiarità la detiene in quanto, proprio come il termine “pastorale” richiama allo sguardo del Buon Pastore sulla Chiesa, sulla Storia, sugli uomini che la abitano e sui problemi che vi si affacciano, questo Concilio non veniva radunato affinché potesse condannare dottrine o uomini, a causa di errori nella fede ed eresie come nel passato. Al contrario, era un Concilio radunato per esprimersi positivamente per esprimere la verità. Questa era l’innovazione di quel Concilio, ripete con forza Bianchi prendendo a prestito il pensiero di Giovanni XXIII, la novità di un vero e proprio «aggiornamento» dei contenuti della fede e la «collocazione» della Chiesa tra gli uomini. Il pontefice di allora voleva una rilettura fatta con lo sguardo di Gesù caratterizzato da «sollecitudine ed ansia» per tutti gli uomini.

C’era, però, pure chi osteggiava il Concilio e vi si opponeva contestandone la sua essenza, risultato troppo innovativo della sua rottura con il passato: un concilio che fosse pastorale era diverso da un concilio dottrinale, teologico. Tale, infatti, era il pretesto addotto per indebolire l’autorità del Vaticano II e declassarlo. Risponde a questo Enzo Bianchi: non ci può essere aspetto dottrinale senza sguardo del Buon Pastore e viceversa. E ritorna con la memoria al passato, al 1983, quando la prima pagina del quotidiano “Avvenire” titolava: «Quando si declasserà il Concilio Vaticano II?».

Nonostante ciò, un atteggiamento positivo si staglia in risposta a queste critiche e si va oltre: per papa Giovanni e per Paolo VI, la verità è sempre pastorale, poiché viene da Dio ma ritorna all’uomo, la verità rivelata e mostrata, quasi offerta, all’uomo. Su questa scia, viene ricordato anche uno stralcio contenuto nel “Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II”, tenuto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, soprattutto nella parte in cui si sofferma sul suo compito precipuo che consiste nel «custodire» e promuovere la dottrina. Così, la novità consiste, quasi, proprio nel fatto che non c’è nuovo dogma e si compie un balzo in avanti: si fa un’operazione di discernimento tra la sostanza della dottrina (che è immutabile) e le sue formulazioni (che, invece, cambiano al variare dei tempi). In questo senso, Bianchi affermi che “pastorale” è detto a questo proposito in senso autenticamente teologico, dottrinale, ma ricco di un profilo pastorale. Quest’innovazione prospettica ha significato mettersi all’ascolto dell’uomo perché il pastore è vero che governa le pecore ma, come ci ha insegnato Gesù, il pastore le ascolta.

Oltre a soffermarsi sull’aggettivo “pastorale”, Bianchi fa seconda precisazione, sottolineando che forse è la prima volta che qualcuno la enuncia, con la consapevolezza di assumersene la responsabilità. Il Vaticano II è stato ed è un concilio ecclesiologico, ma soprattutto, a suo dire, è soprattutto stato un concilio cristologico degli altri di tutto il secondo millennio, in quanto la cristologia, appunto, si ritrovi in modo più diffuso e preciso nei documenti: segno, questo, che al centro del Concilio c’è Gesù Cristo, non la Chiesa. Basterebbe seguire l’ordine cronologico in cui sono stati redatti i documenti per accorgerci che nella costituzione sulla liturgia c’è la riflessione su Cristo nel Mistero Pasquale, morto, risorto e operante nella liturgia, come anche nella costituzione riguardante le Sacre Scritture c’è al centro Cristo, Dei Verbum, Parola di Dio. Nella costituzione riguardante la Chiesa, c’è il corpo di Cristo, che è il Mistero della Chiesa. E nella Gaudium et Spes, in realtà, certo che si parla di Chiesa e mondo, ma lasciando disegnare questo rapporto da Gesù Cristo, l’Uomo, il Adamo per eccellenza, l’immagine della vera umanità, termine di tutta la Storia e di tutta l’umanizzazione.

A questo punto, Bianchi riferisce il pensiero di Joseph Ratzinger, allora giovane teologo presente al Concilio come esterno, che durante l’apertura della II sessione conciliare, il 28 settembre del 1963, scrive nel suo diario ancora inedito: «Ciò che mi ha colpito di più oggi è l’aspetto decisamente cristologico del discorso di Paolo VI: con quale enfasi risuonava l’espressione liturgica “Noi conosciamo solo te, o Cristo”! Come mi ha colpito la conclusione di Paolo VI, quasi un grido: “Cristo presieda lui” [questo Concilio]». Il Vaticano II è stato un concilio cristologico che ha fatto emergere in modo rinnovato il volto di Cristo: conosciuto meglio tramite la Sacra Scrittura; il Cristo, capo della Chiesa (che è corpo); il Cristo presente attraverso la liturgia; un Cristo ritrovato, amico degli uomini e che è presente nella Creazione, per salvarla. La Chiesa è corpo di Cristo. Fu Paolo VI, all’apertura della II sessione conciliare che nel discorso di apertura dei lavori, fece riferimento all’abside della basilica di San Paolo fuori le mura. V’è un mosaico in cui è raffigurato un Cristo pantocratore, ammantato di maestà regale, Re dei Re, con ai piedi un nanetto, papa Onorio III che gli bacia i piedi. Sempre Ratzinger scriveva: «Il Papa scompare di fronte al Signore, Cristo Re dell’Universo». Come in questi giorni, in cui il pontefice si è ritirato: è Cristo che regge la Chiesa, non il Papa.


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CONVERSAZIONI – Enzo Bianchi, il priore di Bose a Palermo. Le immagini documentano alcuni momenti della relazione tenuta dal priore di Bose Enzo Bianchi nella Chiesa Cattedrale di Palermo il 19 febbraio 2013 sul tema: "Gaudium et Spes: le attese e le speranze dell'umanità e le risposte della Chiesa".– Sicily Present (ph. gl)


 


Rileggere la Gaudium et Spes, dunque, è utile per coglierne l’essenza pura e non correre il rischio di maggiorarla o cristallizzarla come dottrina di una Storia sempre cangiante. Il testo, quindi, consta di continue valutazioni contingenti che vanno, oggi, riviste. Il 6 agosto 2012, Benedetto XVI in un discorso apparso nell’Osservatore Romano scrive che serve «mettere a fuoco in questa costituzione ciò che è permanente e che davvero riguarda l’uomo nella visione cristiana». Quegli elementi contingenti non volevano essere materie di fede definitive. Sono stati frutto di un percorso che ha mosso i suoi primi passi da lontano. L’epoca post-tridentina è iniziata con la paura: la Chiesa si è sentita assediata dalla Riforma protestante, poi dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese. Quella Chiesa spaventata, allora, che chiedeva una sua dimensione, prese la spada dell’intransigenza barricandosi nella sua cittadella come in una roccaforte. Al momento del Concilio, era consapevole del suo rapporto negativo con l’età moderna e con le differenti culture che, ormai si imponevano con evidenza globale. Un testo della curia romana che si chiamava “Chiesa e mondo”, fu cambiato dai Padri conciliari in “Chiesa nel mondo”, così da rendere l’idea che non si trattasse di due realtà accostate o indipendenti o peggio, opposte. Bisognava saper discernere i segni dei tempi. Benedetto XVI sempre il 2 agosto 2012 nel suo intervento (poi pubblicato il quattro giorni dopo), si chiedeva: «Le cose dovevano rimanere così? Bisognava che continuasse l’ostilità verso il mondo e verso i tempi moderni?». È la stessa età moderna a percepire che la Chiesa deve chiedere di essere assunta nella Modernità. Come? Assumendo un nuovo stile di collocazione nel mondo e nella Storia. Questo serviva. Ancora una volta Ratzinger auspica una Chiesa «non distaccata dal mondo ma pellegrina nel mondo con tutti gli altri uomini nella terra». Al tempo del Concilio si stagliavano delle realtà con cui la Chiesa doveva fare i conti: il Terzo mondo, i perseguitati dal Comunismo e tutte le istanze che la Storia poneva di fronte all’uomo. Questo fece scaturire un desiderio nuovo che diede adito al valico di nuove frontiere: la libertà religiosa, per far un esempio, e – più innovativa ancora – la libertà di coscienza, che la Chiesa preconciliare considerava una sciagura e che, pertanto, condannava. L’immagine fu quella di una cometa che perdeva pezzi. A ricompattarla furono la Dignitatis humanae (sulla libertà religiosa) e la Nostra aetate (sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane). Quanta ragione ci fu in quel cammino, lo capiamo solo ora, tuona Enzo Bianchi. “Infedeli” venivano chiamati i credenti di altre religioni. Il Concilio, invece, è stato profetico e lo sintetizza Bianchi in poche parole: chiaroveggenza, è stato il Concilio.

I punti di forza della Gaudium et Spes, usando una metafora del cardinale Kasper, furono quelli che fanno di questa costituzione conciliare una vera e propria «arca di Noè»: in essa sono contenuti svariate tematiche, sebbene con la capacità degli anni Sessanta. Bianchi focalizza tre punti che restano e rimarranno della Gaudium et Spes.

            1)Il dialogo come stile di comunicazione della Chiesa con il mondo

Prendendo in prestito le parole di Giovanni XXIII «la luce della verità deve essere presentata in modo accessibile a tutti gli uomini». E in questo la Storia è maestra di vita perché ci si può mettere in ascolto solo attraverso il dialogo, urgenza e stile che mancava negli ultimi secoli. Infatti gli scontri come quello con Galileo, con l’Illuminismo e con la Scienza sono derivati da questa assente chiusura, mostrandosi come incidenti dovuti al fatto che la Chiesa non dialogava con il mondo. L’enciclica Pacem in terris non è scritta per i cattolici, per i cristiani separati ma si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà. Nel secondo paragrafo della Gaudium et Spes leggiamo:

«Il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, passa ora senza esitazione a rivolgere la sua parola non solo ai soli figli della Chiesa né solamente a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti indistintamente gli uomini, desiderando di esporre loro come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo».

Altrettanto importante, quanto riportato nel terzo:

«Il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il Popolo di Dio, riunito da Cristo, non può dare dimostrazione più eloquente della solidarietà, del rispetto e dell’amore di esso nei riguardi della intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare la persona umana, si tratta di edificare l’umana società. È l’uomo dunque, ma l’uomo integrale, nell’unità di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.

Pertanto, il Santo Sinodo, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione».

Parla al mondo intero, ora, la Chiesa. E non enuncia principi o preambula fidei ma guarda, interroga, ascolta. Non fa condanne.

Il priore di Bose ricorda quando partecipò al Sinodo della Nuova Evangelizzazione: relativismo, egoismo, secolarismo, troppi –ismi infestavano la discussione. Ci sono sì, i mali nel mondo, aggiunge, ma guardiamo al mondo con bontà, con positività. Come la Gaudium et Spes che si spinge a cercare l’uomo là, dov’è. Infatti, con questa costituzione pastorale, ha fine la cap. del XVI in poi. Prima la Chiesa custodiva non solo la verità, ma pure il suo rivestimento culturale. Paolo VI sosteneva: «La Chiesa deve dialogare con il mondo in cui vive, diventa conversazione, messaggio, dialogo».

Il 6 gennaio 1964 da Betlemme, lo stesso, dichiarava: «Noi guardiamo al mondo con estrema simpatia». Sono gli spiriti paurosi, rimarca Bianchi, gli spiriti con poca fede che temono di dialogare con gli uomini e con il mondo, i pusillanimi! Là dove c’è un uomo, credente o no, c’è l’immagine di Cristo nel mondo, creatura chiamata ad essere figlio di Dio. Lo sottolinea la IV sessione, nel 14 settembre 1965, quando definisce una «Chiesa impegnata ad amare».


2)La dignità della persona umana

Bianchi si sofferma, qui, sulla centralità dell’uomo (si veda il capitolo II della costituzione pastorale). Avviene, secondo lui, una adesione da parte della Chiesa alla svolta antropologica della modernità. La Gaudium et Spes non è semplicemente ottimistica. Sarebbe riduttivo definirla così. È un testo che contiene al suo interno problematiche riguardanti la miseria che segna l’uomo, la violenza, la guerra, l’inimicizia, la persecuzione. «In ogni uomo, la responsabilità. […] L’uomo, pur conoscendo il peccato, ha una sua dignità». Come non far ricorso a Sant’Agostino? Uomo capax Dei, capace di ricevere Dio. La Grazia di Dio ha il primato sul male e sul peccato. La Grazia e l’umanizzazione, dunque, si mostrano legate da sinergie e collaborazione. Gli sforzi contro il male che tenta e colpisce l’uomo, questo dice la Gaudium et Spes. La possibilità di ricevere Dio nell’uomo. Da qui, la promessa divina: «innalzato da terra, attirerò tutti a me». Serve l’azione dello Spirito Santo affinché l’uomo diventi più uomo. Dice la Gaudium et Spes: «Il cristiano associato al Mistero Pasquale […] andrà incontro alla resurrezione confortato dalla Speranza». Non solo per i cristiani: «Cristo è morto per tutti […]. Lo Spirito Santo è dato a tutti». Pronunciando queste parole, Bianchi esulta e si commuove perché tramite queste linee guida, ha la certezza che si ponga fine all’atteggiamento di quell’extra Ecclesia, nulla salus che ha dominato il secondo millennio. In tutti gli uomini lavora visibilmente la Grazia, lo Spirito Santo. Così, sentenzia Bianchi, muore il giansenismo. Consocientur, riporta il testo originale della Gaudium et Spes, diventare soci, cioè. Alcuni traduttori paurosi hanno invece riportato «venire a contatto» che però è diverso da associarsi. Questa pavida traduzione fa più pensare alla tangente che all’essere associati al Mistero Pasquale.

3)La comunità degli uomini

Interessa la seconda parte della costituzione conciliare, in cui sono contenuti temi urgenti e decisivi. Viene affermata ancora la dignità dell’uomo e la communitas. «Con animo di comunità», riporta il testo. L’uomo in sé? No. Si considera la comunità, la fraternità. L’uomo è stato creato in relazione, in comunione. L’antropologia della Gaudium et Spes è dialogante, vede nella società umana il compimento del comandamento dell’amore dato da Gesù. Nel paragrafo 24, infatti, si menziona proprio il passo evangelico e si fa riferimento alla corresponsabilità nell’agire. Questo sguardo non è solo rivolto, così, alle sole realtà spirituali, quelle che prima del Concilio si definivano «soprannaturali». La Chiesa, allora, non è relegata in sacrestia: è una parola pubblica, franca ma non vuole governare la società. Nessuna dicotomia tra fede e cultura (il «grande dramma del nostro secolo», diceva Paolo VI). I cristiani sono chiamati ad essere il sale della terra, mescolati nel mondo come sale nel cibo; e luce del mondo, ben in vista su una altura. Entrambe le cose perché se la città sul monte fosse solo arrogante, non funzionerebbe nel mondo ma rimarrebbe relegata in se stessa. E, allo stesso modo, se il sale nella pasta rimane là, questo si isola e vanifica. Dalla communitas degli uomini in cui la Chiesa si colloca, emergono tutte le specificità riportati dalla Gaudium et Spes, suddivisibili in due sezioni:

a)al paragrafo 76: la Chiesa in nessuna maniera si confonde alla politica, ma si pone a servizio della persona, a vantaggio della comunità; la Chiesa rifiuta i privilegi dell’autorità politica ma rinuncia ai diritti se questi sono esercitati in simbiosi con l’autorità politica; i mezzi devono essere a favore di tutti. Da questo deriva che la Chiesa sta nel mondo ma confida nel Vangelo. Abita la terra non in via disoneste che danneggiano il bene comune.

b)La ferma condanna delle guerre. Vengono ripudiate: la guerra santa, la corsa agli armamenti, la guerra come rapporto tra i popoli.

La Gaudium et Spes, infine, ha dato un nuovo stile alla Chiesa. Grazie a questa costituzione – conclude con due citazioni, Enzo Bianchi – capiamo il vero senso della frase di Sant’Ireneo: «La gloria di Dio è l’uomo vivente»; e Giovanni Paolo II dice che «è l’uomo, la via della Chiesa».

 

 

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