(2 aprile 2012) - La Settimana Santa e le feste di Pasqua celebrate in questi giorni sono occasioni per trasformare i paesi siciliani in grandi palcoscenici in cui si svolgono, secondo espressioni rituali e tradizioni quantomai diversificate e spettacolari, sacre rappresentazioni, pantomime e processioni in cui si rivela tutto un substrato di concezioni e quella irrinunciabile tendenza del popolo a drammatizzare, per sentirsene intimamente partecipe, la dolorosa-gloriosa vicenda dell’Uomo-Dio. - Sicily Present
La Pasqua nella sua dimensione popolare in Sicilia.– La festa della Pasqua è la festa cristiana per eccellenza; la sua pregnanza consiste nel presentare in unità inestricabile alcuni tratti fondamentali che hanno caratterizzato le concezioni del mondo all’interno delle società arcaiche tradizionali: penitenza e purificazione attraverso il sacrificio, fertilità, morte e rinascita. Da un’analisi comparata emerge infatti in modo non questionabile la doppia valenza delle mitologie pasquali: per un verso l’orizzonte culturale che esse offrono è totemico, per altro verso è agrario.
Il mito del dio che muore e rinasce ha potuto cioè funzionare come fonte di verità tanto per le culture di cacciatori-raccoglitori e pastori nomadi, ed in questo caso l’accento viene posto sull’aspetto sacrificale, incentrato sull’immolazione di un capro espiatorio, quanto per le culture agrarie e contadine, mediante la riproposizione del grande tema del chicco di grano che deve morire per poter fruttificare. Trascorrendo dall’ambito etnologico e storico-comparativo a quello folklorico, risulta evidente che i fenomeni cerimoniali e rituali di cui si sostanziano le rappresentazioni popolari della Pasqua, particolarmente nel Mezzogiorno d’Italia e nella Sicilia che qui ci interessa, trovano una loro cifra peculiare nella complessa e variegata serie di momenti festivi incentrati sulla più o meno consapevole teatralizzazione del cordoglio.
La cultura popolare siciliana presenta a questo proposito numerose cerimonie pasquali che possono essere lette e decodificate in tal senso. Basterà qui richiamare la pratica della Via Crucis, affermatasi sin dalla fine del XIV secolo, consistente in una serie di passaggi e meditazioni di fronte a stazioni raffiguranti episodi della Passione secondo un itinerario prestabilito. I Calvari non fanno altro che distendere spazialmente l’evento sacrificale, distribuendolo in una serie di tableaux per l’intelligenza delle quali occorre appunto compiere un percorso che in genere viene fatto comunitariamente.
Tutte le processioni figurate (i cosiddetti Misteri) come ogni altra sacra rappresentazione (dalle cinquecentesche Casazze e Dimostranze ai seicenteschi Martori), nonché le Varette, in cui le scene della Passione sono rese attraverso gruppi statuari anziché essere rappresentate da personaggi viventi, obbediscono all’identica esigenza di compartecipare una vicenda di morte trasformandola in pratica teatrale comunitaria. I momenti della espulsione del male e della purificazione possono essere bene esemplificati nei Giudei di San Fratello per ciò che attiene al primo aspetto, e nelle varie processioni di Babbaluti, flagellanti penitenti etc. come nel caso di San Marco d’Alunzio, in cui le esigenze mortificatorie e sacrificali vengono affidate ad atti di violenza reale o simbolica praticati sul corpo, per quanto concerne il secondo.
Il pasto comunitario trova una sua concreta attuazione nelle costumanze alimentari festive. I dolci popolari della Pasqua, al di là della loro variegata tipologia, hanno tutti un’eguale valenza, posto che attraverso essi è reso possibile mangiare letteralmente il morto (l’agnello, la colomba) o appropriarsi del nucleo della vita (l’uovo) introiettandolo: in entrambi i casi il pasto diviene fonte di nuova vita e di salvezza.
L’intera Settimana Santa, scandita da pratiche incentrate sulla mortificazione, sulla lamentazione e sulla dolorosa contemplazione della morte, altro non è che un periodo di elaborazione collettiva di un lutto cui vengono annessi significati cosmici. La Pasqua di Resurrezione diviene così paradigma esemplare che rende possibile un periodico esorcismo solenne nei confronti di una morte senza prospettive di vita futura, di un motivo privo di plasmazione culturale, di una mera vicenda naturale secondo la quale tutto non sarebbe altro che materia in corsa verso il nulla.
Rimane da aggiungere che la Pasqua, se per un verso rappresenta il punto più alto della vita cristiana, rendendo possibile la liberazione dal peccato e il definitivo affrancamento dalla morte, in ambito popolare si costituisce come griglia rituale volta a fornire orizzonti di speranza e prospettive di liberazione a ceti storicamente oppressi, schiacciati dall’enorme peso del negativo quotidiano.
In più, la Pasqua popolare ci consegna i colori, i suoni, i sogni di una Sicilia che ancora una volta, pur nella grave mutazione antropologica che l’ha negli ultimi decenni attraversata, conferma la propria vocazione a costituirsi luogo totale in cui le memorie e le strutture profonde della cultura, ancorché spunte al comune sentire, tornano prepotentemente a riproporsi permeando con la loro pregnanza l’esistenza degli uomini e delle comunità.
Nella photogallery è contenuta una rassegna di immagini in cui sono ampiamente rappresentate la devozione e la drammatizzazione del tempo pasquale in Sicilia. In particolare, le foto di Natale Gioitta documentano funzioni e riti pasquali di Gangi, Castroreale, Caltanissetta, San Fratello, Enna, Prizzi.
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