Domenica 15 febbraio alle 16 si è svolta la visita alla mostra “Steve McCurry. Icons” alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo proposta dal Centro Culturale Il Sentiero. Una delle tante iniziative di questi anni, mostre di autori contemporanei come Andy Wharol, Burri e pittori del passato, proposte sempre con l'intento di "conoscere un po' di più di noi stessi e della realtà" come ha detto Rosalia Pipia, presidente del Centro Culturale, nell'introdurre il percorso della mostra. In effetti nella società di oggi "la cultura è spesso ridotta allo svago, all'intrattenimento, qualcosa che non ha nessi con le domande e i bisogni che toccano la vita", Il Sentiero invece vuole "misurarsi con l'esperienza e ricercarla perché questo è il modo più vero per incontrare l'umano". Visitare la mostra di McCurry, riconosciuto come uno dei più grandi fotoreporter viventi, vuol dire incontrare la sua persona, immedesimarsi con il suo modo di percepire e interpretare la realtà, vuol dire imbattersi nella sua commozione nel fare esperienza della realtà e questo permette di conoscere perché l'incontro con la persona è un'opportunità per la conoscenza.
La mostra è come un viaggio lungo decenni, con oltre 100 sue fotografie scattate in diversi paesi del mondo che immortalano paesaggi, persone e città e che raccontano fatti storici. McCurry ha fatto della fedele rappresentazione della realtà una missione, nel 1978 parte per l'India come freelance ripercorrendo le orme di Henri Cartier-Bresson, passa dalla fotografia in bianco e nero a quella a colori e impara ad aspettare e a guardare la vita, affermerà lui stesso che saper aspettare è la più grande dote di un fotografo perché "la gente si dimenticherà della vostra macchina fotografica ed il loro animo più profondo si mostrerà". I suoi scatti nelle zone di guerra fanno il giro del mondo, concentrato sulle conseguenze umane della guerra, mostra non solo quello che la guerra imprime al paesaggio ma, piuttosto, sul volto umano. "La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l'anima più genuina, in cui l'esperienza s'imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell'essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità ".
È la ricerca del senso a guidare McCurry per il quale "il significato, il senso, deve sempre avere la priorità". Scava la realtà e negli sguardi feriti dell'umanità trova una solidarietà universale tra i popoli al di là delle differenze di costumi e culture. Oggi nell'immaginario collettivo l'icona è solo un simbolo o rappresenta realtà astratte, per Steve McCurry, invece, l'icona rimanda sempre ad una persona vera, a luoghi veri come gli scatti dell'11 settembre o come la foto della ragazza afghana scattata durante un suo viaggio in Pakistan nel 1984 divenuta un'icona della cultura contemporanea e sicuramente la sua foto più conosciuta e famosa, l'indimenticabile ragazza dagli occhi verdi, smarriti e fieri, accentuati dal logoro velo rosso cupo che le circonda il viso e le ricade sulle spalle, considerata la Monna Lisa della guerra afghana con il suo sguardo che sintetizza disperazione e bellezza.
La mostra è corredata da un documentario del National Geographic che racconta la ricerca e il ritrovamento di Sharbat Gula, la ragazza afghana, ora sposata e madre di due figli che vive in Pakistan, che viene nuovamente immortalata con il burqa e lo sguardo segnato dalla sofferenza di anni di conflitto.
McCurry è un fotografo di grande e profonda umanità al quale si possono riferire le parole del giornalista Domenico Quirico: "È attraverso la commozione che si sviluppa il passaggio fra la conoscenza e l'esperienza. Se non condivido non capisco e non ho il diritto di raccontare. Noi occidentali ci vergogniamo di commuoverci. Ma io posso raccontare solo ciò che ho attraversato. Io racconto il dolore degli uomini, che è qualcosa di straordinariamente delicato, che posso toccare solo con la punta delle dita...".