Giuseppe Aziz Spadaro: un lascito civile e spirituale

Il 28 Gennaio scorso tra il calore dei cari e degli amici tutti è venuto a mancare lo scrittore e studioso siciliano Giuseppe Aziz Spadaro. Spadaro viveva a Roma ormai da alcuni decenni, dove con zelo e inesauribile passione conduceva la sua attività letteraria, filosofica e artistica. Durante la propria carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti e per ben due volte anche il Premio per la cultura della Presidenza del Consiglio.

Dell’uomo eclettico, acuto indagatore dei terreni inesplorati e interdetti dell’anima e del religioso, in Baccanale privato (2013) si percepiscono chiare, attraverso la sua danza espressiva, le libere movenze dello spirito. Da queste scaturiscono una poesia e una prosa che non possono non transitare dal Mito, dal fondo ancestrale delle prime narrazioni dalle quali superbo, l’uomo moderno, da sempre prende le distanze. Lo struggimento della passione, come un’incalzante coscienza storica alimentata da indagini minuziose e mai soggiacente agli schemi preconfezionati dei celebratori del presente, si mostra sempre più proteso – ora ironico ora amaramente malinconico e talvolta prepotentemente gioioso – ad una tenace e radicale volontà del vero. Una costante tensione conoscitiva motivava la sua grande passione per la Storia, per la ricerca documentale corroborata dall’analisi critica delle svariate fonti e prospettive dichiarative, ne faceva un infaticabile frequentatore dei più remoti luoghi del sapere, vero esempio della sete di conoscenza che non può non farsi ragione sociale e, talvolta, anche cruda constatazione dei fatti. In tal modo Giuseppe Spadaro dava prova del proprio tendere verso un “vero” inteso sempre più come commistione di estremi, coabitazione di sentimenti contrastanti, complicità più remote e contrapposte. Il suo esordio poetico è da far risalire al 1956, al libro Schegge di dolore, al quale nel 1960 seguirono La donna con l’ermellino e L’immagine del padre.

Proprio questo è il ricordo di lui che a me oggi si impone nel pensare alle prime chiacchierate, al giorno del nostro primo incontro a Roma in occasione della presentazione dei miei primi due libri nell’ambito del programma delle attività Sindacato Libero degli Scrittori (S.L.S.I.), fino al suo prezioso contributo postfatorio al mio terzo lavoro, un libro su Nietzsche e su Zarathustra, i temi che tenevano stretta la dialettica del nostro confronto dando vita a riflessioni comuni nelle quali mi guidava ed elogiava colmando, al contempo, i vuoti su quanto mi risultava maggiormente difficile da esprimere e conoscere. Autore impegnato nella tutela degli autori, dei diritti di chi si dedica alla ricerca e all’espressione di sé, disegnava con immensa eleganza il proprio itinerario filosofico, sapendo intercettare il senso dell’interdisciplinarietà fino a trascenderlo in sagace poetica. Tra le opere che hanno segnato il nostro rapporto di amicizia voglio ricordare anche In pruritu carnis. L’equivoco Cristiano, il suo L’albero del bene. San Francesco teologo Cataro ed il romanzo storico Fuga da Venezia, nel quale riflette in prosa la sua dedizione socio-politica già testimoniata, ad esempio, da precedenti opere come De Gasperi e il partito popolare italiano (1975), Il fascismo crocevia della modernità (1998) e l’Equivoco della liberaldemocrazia (2002). Peppino, in onore del quale lo scorso luglio, a sei mesi dalla scomparsa, si è tenuto un incontro commemorativo nella sua Noto, ha lasciato in corso di pubblicazione un nuovo romanzo storico la cui edizione, per i tipi di Mimesis, è stata infine ultimata dai familiari: Arzael angelo caduto. Nel dramma d’un uomo l’esame di coscienza dell’Occidente (2018).

Ma se il vuoto che lascia il grande uomo, così come l’amico, colui che sa consigliare e ascoltare, non può trovare la propria misura consolatoria in alcunché di tangibile, lo stesso può essere mitigato dall’inestimabile apporto spirituale che continua a fornire, come monito e invito, alla coscienza tanto soggettiva quanto storica delle nuove generazioni. Il margine tra personale e sociale, tra singolarità del vissuto e partecipazione agli avvenimenti, era il terreno impervio che con grande coraggio e bontà d’animo percorreva sublimandone gioie e asperità in versi, in prosa e in pittura: su di esso poneva salda la speranza e la premessa di una ritrovata onestà civile ancora possibile.

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