La Festa dei Popoli a Palermo

La mattina dell'Epifania, come è ormai consuetudine da alcuni anni, in cattedrale si è svolta la Festa dei Popoli, una celebrazione eucaristica interculturale che quest'anno ha avuto una particolare attenzione ai migranti minori che giungono nel nostro paese spesso non accompagnati. Erano presenti gli ospiti della Missione Speranza e Carità di Biagio Conte e i rappresentanti di altre confessioni religiose, la cerimonia è stata animata dalla Corale Interculturale Arcobaleno di Popoli di p. Sergio Natoli e in ultimo si è chiusa con una danza di ragazzi di religioni diverse.

Il dott. Mario Affronti, responsabile del Servizio di Medicina delle Migrazioni e direttore dell'Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni, all'inizio della cerimonia ha voluto ricordare quanti nuovi migranti ogni giorno arrivano con mezzi di fortuna in Italia o in altri paesi europei e la cui voce "non è ascoltata, non conta nulla " e in riferimento proprio ai minori ha evidenziato come "il Santo Padre sollecita a prenderci cura di loro perché sono tre volte indifesi: perché minori, perché stranieri, perché inermi quando sono portati a vivere lontano, separati dagli affetti familiari".

In una cattedrale gremita di uomini e donne provenienti dai cinque continenti, riecheggiando le Scritture "Anche voi foste forestieri...", è stato ricordato come "noi e gli immigrati formiamo una sola famiglia umana dei figli di Dio". Oggi, dopo aver capito anche noi cosa significhi emigrare, ci si può porre in un atteggiamento di accoglienza" affinché gli stranieri possano diventare fratelli invece che nemici, perché trovino la loro strada, possano scoprire se stessi come creature libere di cantare le loro canzoni, di parlare le loro lingue, di danzare le loro danze, libere anche di andarsene per seguire la loro vocazione".

Nell'omelia l'Arcivescovo don Corrado Lorefice con le sue parole, nel fare memoria del significato della festa dell'Epifania, manifestazione del Signore Gesù, ha dato le ragioni profonde dell'accoglienza con cui non solo ogni cristiano ma tutti gli uomini di buona volontà devono confrontarsi. Questo Gesù che nasce e si manifesta al mondo, ai pastori e ai re Magi, agli umili e ai potenti della terra, "è un bambino che è per tutti, per tutti quelli che si mettono in cammino, per tutti quelli che conoscono il desiderio della Bellezza, della Verità, della Luce". Questo Gesù che nasce è un Dio che si fa piccolo, "è un Dio che viene non esercitando il potere ma viene nella piccolezza e viene nella debolezza, è un re che manifesta la potenza della debolezza". Così facendo indica la strada ai cristiani e a tutti perché, come don Corrado ha più volte ripetuto, Gesù è per tutti "gli uomini e donne che si mettono in cammino per cercare l'unica vera verità, che il cuore dell'uomo deve essere disarmato, deve essere un cuore che accoglie e si prende cura di altri" e appare chiaro che la strada indicata è quella della totale consegna della vita. La vita va spesa così, consegnandola, questo comporta una fatica che però apre il cuore alla gioia, mentre "l'uomo che si arma di un potere, di un'autorità che esclude è un uomo che fa asfissiare il suo cuore, è affetto da quella malattia che a volte prende il sopravvento, la sclerocardia, la durezza del cuore". La ragione autentica e profonda dell'accoglienza "è quella scintilla di Dio che l'uomo porta dentro che ci accomuna tutti, è il desiderio che portiamo dentro in quanto appartenenti alla famiglia umana".

Da più parti, di fronte al fenomeno delle migrazioni che ci interroga sia a livello personale che a livello di scelte politiche, si tenta di dare giudizi che mettano in conto tutti i fattori possibili dal dovere dell'accoglienza alla paura del diverso e alla difesa della propria identità. Tuttavia la complessità della questione è tale che non se ne viene a capo, non sappiamo dare un giudizio che rimanga fermo dinanzi ai tanti eventi che i media ogni giorno ci rimandano, tanto meno si prendono decisioni politiche risolutive e di fronte a questa incertezza siamo disorientati. Forse lo saremmo di meno se facessimo memoria della buona novella che ha portato Gesù il Dio che si è fatto bambino e che ha indicato la Bellezza dell'essere disarmato, del dare la vita per accogliere l'altro fino alla Croce.

Don Corrado, riferendosi a S. Paolo, lo ha detto chiaramente qual è la vera radice dell'accoglienza: "ormai tutte le genti sono state chiamate a condividere la stessa eredità, nessuno è straniero, nessuno è ospite ma noi siamo concittadini e familiari di Dio, non c'è definizione più alta di quella contenuta in queste parole, in quanto apparteniamo alla famiglia umana siamo tutti concittadini e in quanto apparteniamo tutti a Dio siamo tutti familiari in Cristo Gesù".

Le ragioni dell'essere accoglienti non possono, quindi, rimandare a delle norme morali che da sole non reggerebbero dinanzi alla fatica e alla paura di certi momenti. La verità cristiana, ci ha ricordato l'Arcivescovo, non è una dottrina ma è una relazione e "in quanto l'altro mi sta di fronte mi appartiene. Ecco perché guardiamo con simpatia ogni uomo, ogni donna di qualsiasi cultura, di qualsiasi religione". Parole forti che non solo il cristiano deve fare sue ma ogni uomo di buona volontà per non rischiare che anche l'accoglienza possa diventare oggetto di uno scontro ideologico in una società in cui, che lo si voglia o no, si devono fare i conti con il grande fenomeno delle migrazioni che ci impegnerà sempre di più noi e le generazioni che verranno.

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