Mio zio don Francesco Ventorino ha seminato tanto e i frutti più belli li raccoglierà dal cielo. Intervista al nipote don Pierluigi Banna

La manifestazione per l’inaugurazione dell’Istituto Francesco Ventorino a Catania ha avuto una conclusione molto significativa con la Santa Messa celebrata sabato sera dal nipote di don Ciccio, Pierluigi nella cappella del medesimo istituto. Abbiamo colto l’occasione per rivolgergli alcune domande.

 

Don Banna, di cosa è più grato per la vita di suo zio?

Anzitutto della mia vita.

Cioè?

Agli inizi degli anni ’80 i miei genitori decisero di avere un terzo figlio; ma mia mamma non era più giovanissima, così che la gravidanza fu interrotta da un aborto spontaneo. Allora decise di parlarne con il fratello prete il quale sentenziò senza mezzi termini (lo zio su queste questioni e con i familiari era di una chiarezza disarmante) che comunque fossi nato, le sarei sempre stato grato del fatto che lei mi aveva permesso di esserci. Mia madre affrontò una gravidanza lunga e non priva di rischi, passandola quasi per intero a letto.

E poi?

Non seppi nulla di questa storia per 15 anni, quando mio zio me la raccontò, dicendomi: «Tu devi la tua vita al sacrificio della vita del tuo fratello che non hai mai conosciuto».

Le cose come andarono in seguito?

In modo del tutto normale. Sono cresciuto come tutti i miei coetanei, facendo le cose che facevano loro e senza che la mia famiglia mi negasse nulla.

Ma l’ombra dello zio prete aleggiava?

Era una presenza di grande autorevolezza in famiglia. Quando veniva a pranzo, ad esempio, tutti cercavamo di fare i salti mortali per arrivare alle 13 in punto a tavola, come lui richiedeva. Qualsiasi situazione critica veniva affrontata con lui.

Lei gli andò a parlare di qualcosa in particolare?

É stato lui a cercarmi. Durante un litigio con i miei genitori, prese le mie difese e mi invitò a pranzo con lui. Non mi fece alcun “terzo grado”. Mi chiese cosa facevo e cosa mi piaceva fare. Poi mi diede alcuni libri da leggere.

E come continuò?

Periodicamente mi invitava a pranzo; cucinava pesce sempre in modo eccellente e parlavamo. Capivo che gli ero diventato importante: si entusiasmava per quel che pensavo e che io, onestamente, sottovalutavo. Quando stavo con lui, avevo la percezione di essere atteso.

Ma lei sa se sperava di avere almeno un nipote prete?

Non ne ha mai parlato apertamente. Io, però, rifuggivo dall’idea del sacerdozio, perché sembrava una “sciagura” che dagli zii si abbatteva sui nipoti.

In che senso?

Lo zio di mio zio era prete anche lui, parroco per molti anni in una importante parrocchia della città, da tutti amato e ben voluto. Certamente questa figura, e di ciò non ha mai fatto mistero, ha influito nella sua vita giovanile e nella sua scelta per il sacerdozio.

Ma torniamo alla sua storia. Come è nata la vocazione al sacerdozio?

Ero studente a Milano, dove mi ero trasferito per frequentare l’Università. Avevo una fidanzata, vivevo con intensità la vita della comunità degli universitari di CL. Pur volendo ancora molto bene a questa ragazza, c’era qualcosa che non andava. Iniziai a prendere sul serio l’ipotesi della vocazione alla verginità, qualche volte già apparsa come intuizione nella mia vita. Vedevo che più la prendevo sul serio, più la mia vita fioriva.

E il passo successivo?

Mi laureai nel 2008. Nel settembre dello stesso anno, entrai nel Seminario Arcivescovile dell’Arcidiocesi di Milano, presso l’allora sede di Seveso e fui ordinato sacerdote il 7 giugno 2014.

In tutti questi passi la accompagnava sempre lo zio Ciccio?

No, ho avuto la possibilità di incontrare a Milano don Carrón, che mi ha aiutato a riconoscere i segni che Dio poneva nella mia vita. Lo zio Ciccio veniva sempre aggiornato dei miei passi rimanendo sempre disponibile, ma mai invadente. Il giorno della mia ordinazione fu certamente tra i più belli della sua vita.

Perché?

Ho scoperto che diceva in giro, anche scherzando, che chiedeva al Signore di farlo arrivare vivo a quel giorno. È morto poco più di un anno dopo. I suoi ultimi giorni richiederebbero un intero libro per raccontarli.

E adesso nel Movimento di C. L.?

Mi è stato chiesto di predicare il Triduo Pasquale ai ragazzi di Gioventù Studentesca. Pur nella mancanza del distacco fisico, lo sento sempre più compagno dei passi che faccio cercando di seguire don Carrón.

Un’ultima cosa. Chi è per lei don Francesco Ventorino e che sensazioni ha provato ieri sera?

Ieri sera ho avuto la certezza che lui ha seminato tanto e che i frutti più belli lui li raccoglierà dal cielo. 

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