Il nome delle cose: concerto o co-animare

 

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(13 agosto 2015) – L’estate è il momento in cui si scoppia di tournée: sia chi gira in cerca di nuovo pubblico, che chi attende l’arrivo del cantante, dello spettacolo, dell’evento. In estate il tempo è clemente, o quanto meno non piove: in estate si può riempire il prato degli stadi, usare i teatri all’aperto, concludere più tardi. In estate c’è il mare, o almeno non c’è nessuno che ne dimentica l’esistenza. In estate c’è caldo e non bisogna coprirsi, schermarsi o chiudersi. Se si dice che in primavera sbocciano gli amori, in estate cuociono, maturano o si consumano.

In questa stagione si trovano migliaia di persone disposte a fare centinaia di kilometri per assistere ad un concerto. Ed allora vien da chiedersi, cos’è un concerto?

Se si consulta un vocabolario ci si accorge che la parola in prima battuta richiama il “cum-certare”, gareggiare insieme di strumenti musicali e voci, ma certamente va preso in considerazione anche il “concentus”, accordo di voci, consonanza e il “con-serere”, l’intrecciarsi delle voci.

Insomma il termine ci porta all’interno della musica, d’altro canto cercando notizi e circa la parola "concerto" si trova facilmente lo sviluppo di questa forma musicale nei secoli e ci si avvede come nel tempo i più grandi maestri della musica se ne siano avvalsi e l'abbiano condotta a vertici memorabili.

Ma noi oggi quando andiamo al concerto assistiamo anche ad altro, o meglio entra in gioco al suono della parola dentro la nostra mente qualcosa d’altro. E non si sta disquisendo di generi musicali. Quando risuona quella parola nei nostri dialoghi, entra in gioco il confluire di un numero di gente (sia esso minimo, medio o vasto) in un luogo (anch’esso molto variabile ma generalmente connotato da una capacità d’accogliere gente e diffondere musica).

Di più, all’accendersi di quella parola nella nostra mente si assiste a uno schiudersi di molteplici e contraddittori modi di vivere quel giorno: se si sta andando a un concerto rock si accendono verbi come ballare, saltare, cantare, urlare; se al contrario si sta andando ad un concerto del maestro Ughi potrebbe nascere l’idea di tirar fuori dall’armadio quel vestito nuovo, quasi ad accompagnare col massimo della cura quella tensione all’armonia. Ma ancora, si può pensare a una pogata gigante da perdere le spalle per gli urti o l’inginocchiarsi dinanzi a un concerto di musica sacra.

E allora ritorna la domanda, cos’è per noi oggi un concerto?

Dal recondito camerino dietro l’ippocampo in cui inseriamo usualmente ogni tipo di dati, sostanze, liste da non dimenticare o da desiderare si fa avanti una parola strana, che già nel titolo ha trovato il suo posto: co-animare. Non so dove e se mai l’ho sentita, so soltanto che questa parola appare consona, con-suona con quello che stiamo cercando di capire. Cos’hanno in comune quei diversi modi di vivere la stessa parola se non la ricerca di un’anima: la ricerca di un’anima volta verso qualcosa di fuori dall’ordinario che l'accenda, che illumini qualcosa di sé, foss’anche il desiderio brado di adrenalina; ma anche la ricerca di un’altra anima dalla propria che dica qualcosa di più alla mia vita, che ecciti se il caso, l’aizzi, la sconvolga, la tiri fuori dalla fossa, la bei in qualche modo, le faccia spalancare il desiderio o quanto meno il gusto. Insomma la ricerca di un’anima che ci animi.

Ma “co-animare dice anche quella condivisione suggerita dal prefisso, l’inudibile unisono del sistema planetario, il fervere contestuale e comune di due anime, l’animarsi reciprocamente, l’accendersi mutualmente, il respiro di due amanti. E si ritorna al punto di partenza in fondo, l’accordo, l’intreccio il con-suonare di due voci. Il concerto.

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