«Corpi Migranti»: una feritoia nel cuore della città

 

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(6 ottobre 2013) – Ieri il pomeriggio s’era aperto con il primo acquazzone di ottobre a Palermo. L’imponente massa di gocce a battere sulle macchine, sugli ombrelli e sulle teste ci ricordava cosa può accadere quando si è in preda all’acqua. E in questi giorni quando si dice acqua non si può che pensare a Lampedusa.

L’inaugurazione della mostra “Corpi Migranti”, iniziativa dei padri Comboniani di Palermo, era già prevista da tempo; la mostra ha già girato moltissime città, anche perché è stata realizzata ormai quasi 4 anni fa. Ma inaugurare questa mostra il 5 ottobre 2013 a Palermo sui “(bi)sogni” dei migranti, ha assunto inevitabilmente un altro rilievo.

Ciascuna delle colonne dell’atrio della Biblioteca Comunale, alias l’atrio di Casa Professa, è circondata da un drappo nero. Un’ala dell’atrio è dedicata alla presentazione. S’inizia il gesto con l’accensione di una candela da parte di una donna incinta per ricordare quegli uomini di Lampedusa e con una bimba bionda che gattonando srotola nel corridoio centrale, tra le sedie degli astanti, la lunga lista dei nomi delle persone che hanno perso la vita negli sbarchi. Simboli per trattenere nella mente.

Poi è stata la volta di Padre Mario Fugazza, che ha presentato la mostra avvalendosi anche di video e testimonianze. Quest’ultime fondamentali, perché si potrebbe dire che il cuore di tutta la mostra sta proprio nel testimoniare le condizioni di vita di chi si trova in Italia da immigrato. E non solo, anche di chi deve partire dal proprio paese a causa di guerre e condizioni al limite dell’umano.

Una sezione della mostra è dedicata al tema dei “respingimenti”. Tra le foto di questa sezione, realizzate nel 2009 da Enrico Dagnino, ce n’è una che vale la pena andare a guardare: un uomo in ginocchio con le mani giunte per reclamare ascolto. Lo sguardo di quell’uomo, le mani di quell’uomo.

Un’altra storia che merita di essere ascoltata si trova nella terza sezione della mostra: è la foto di Mario Quintin. Un uomo che si trasferisce negli anni ’90 da La Habana a Roma perché “lì la vita era davvero difficile, per tutti: c’era miseria, povertà, cose che non si immaginano”. La storia di Mario e le sue parole sono riportate sopra la foto. Arriva in Italia, la sua passione è ballare. “Ho sempre fatto quello che amavo: ho sempre ballato, e da subito ho cominciato a insegnare”. E non omette le difficoltà, i problemi e la fatica. Fino a che poi nel cuore della sua testimonianza: “Chi vuole ballare, per davvero, deve avere tenacia”. E la foto della lezione di ballo di Mario è da tenere in mente, il suo sorriso. La sezione in cui compare la storia di Mario propone storie di immigrati “integrati” nel nostro tessuto sociale.

L’ultima sezione è dedicata alle seconde generazioni di migranti. Coloro che sono nati o cresciuti in Italia ma a cui non è riconosciuto diritto di cittadinanza.

La mostra, che si trova nel centro storico di Palermo, a due passi dall’istituto di Santa Chiara, in una delle zone più popolate dagli immigrati è uno squarcio: una feritoia che lascia passare la realtà di queste persone che vengono a cercare anche nel nostro paese un futuro migliore. Una feritoia che bisogna guardare lasciandosi ferire, lasciando nascere l’umanissimo “Fino a quando?” del profeta Abacuc, lasciandosi sfrondare da tutti gli orgogli umani e vani che portiamo con noi, tornando al più grande “bene prezioso che ci è stato affidato”. Questo sarebbe il livello di considerazioni capace di far partire ogni conseguenza giuridico-amministrativa nazionale e europea adeguata alla misura dell’umano.

La mostra rimarrà aperta fino al 18 ottobre. Orari di apertura: dal lunedì al venerdì 8.30-13; mercoledì 8.30-13 e 15-17.30.

 

 


 

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(ph. gl)

– Sicily Present


 

 

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