Aida postmoderna al Biondo, un miscuglio di già noto non rende l’ignoto

 

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(22 febbraio 2014) – Come si potrebbe trasporre oggi l’Aida? Con che linguaggio verrebbe scritta? Che temi tratterebbe? Più o meno sono queste le domande che con ogni probabilità hanno accompagnato l’iniziativa di Roberta Torre, di riscrivere e mettere in scena una nuova versione del celebre capolavoro verdiano per il Teatro Biondo di Palermo.

E su questi binari vanno interpretate le scelte a dir poco audaci della regista quasi palermitana. I piani indivisibili che vanno analizzati separatamente per tentare di capirci un po’ di più sono quelli usuali: la forma e la sostanza. Partiremo da quest’ultima: se il volto del potere a cui deve sottostare Radames era per lo più interpretato dal senso della patria introiettato dal generale dell’esercito egiziano; nella versione della Torre, esso è interpretato dal personaggio più chiassoso, un gerarca nazista, ex domatore, che fa della volontà di potenza la propria unica prerogativa. Buona intuizione, anche e soprattutto pensando al rovesciamento dell’originale, per quanto non si tratti certo di un’inedita trovata.

Più interessante il personaggio di Radames: egli assordato dal potere del domatore egiziano-nazista è come privato di colonna vertebrale. Cammina dinoccolato spostando continuamente il proprio baricentro in avanti e indietro, parla un miscuglio incerto di lingue (bravo Rocco Castrocielo a interpretare il grammelot, debitore della lezione di Fo) e in varie scene utilizza la corazza del proprio esercito come una testuggine di tartaruga, coprendosi la testa. L’uomo dilaniato dalla violenza del potere però, è colui che affronta un percorso di conoscenza. Bella la scena di guerra in cui scopre che il nemico contro cui combatte è il padre della persona amata. Il percorso lo condurrà a svestirsi dell’odiata corazza e camminare diritto su sé stesso.

Se quindi convincono la messa in scena di questi due personaggi rivisitati, tutt’intorno v’è presente una carrellata di maschere che la vulgata postmoderna ci ha costretti a conoscere, senza però offrirci in cambio un quid ermeneutico che ne giustifichi la presenza. È quindi “normale” che Aida canti “Amami Alfredo”, perché in fondo sono sovrapponibili i due personaggi seppur provenienti da diverse opere; è quindi “normale” che le serve del faraone siano volpi che sottostanno alla volontà politica e sessuale del padrone; è quindi “normale” che intorno al potere siano chiamati in causa i tòpoi del circo, del sadismo e delle marionette. Ed è “normale” secondo tale palinsesto, e forse il rammarico più grosso, anche la scelta più pubblicizzata: far diventare Aida e Amneris due drag queens.

In realtà nell’economia dell’opera, per quanto quest’ultima sia la scelta più vistosa non è di certo la più significativa. Fatta salva, ovviamente, l’estensione vocale di Ernesto Tomasini e la sua vocazione attoriale. Sembra più un omaggio gratuito ad un’audience che di questi tempi va per la maggiore e detta canoni ideologici ben precisi.

“Di questa Aida rimane il desiderio che non c’è” scandisce nella penultima scena Aida-Tomasini. Del teatro non rimane che il vetro infranto che fa da sfondo alla scena lungo tutta l’opera. Dell’umanità dolorosi frammenti capovolti, rinfranti da uno specchio senza centro.

Si replica al Biondo fino al 2 marzo.

 

 


 

Spettacoli - Aida postmoderna al Biondo, un miscuglio di già noto non rende l'ignoto

(ph. gl)

– Sicily Present


 

 

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