Critone al tempio di Himera


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(2 ottobre 2012) - «Dopo un incontro come questo si torna a casa e si è necessariamente indotti a riflettere».

Con questa frase si è aperto lo spettacolo che, sabato 29 settembre 2012, nella suggestiva cornice del Tempio della Vittoria a Himera, a pochi chilometri da Termini Imerese, ha visto protagonista il Critone di Platone, dialogo giovanile del filosofo vissuto nel V sec. prima di Cristo e che ha come personaggio principale l’amatissima figura del maestro Socrate nell’imminenza della condanna a morte. L’evento è stato organizzato dall’associazione filosofica Paideia, che, come recita il suo manifesto, ha l’intenzione «di recuperare lo spirito di un'educazione di ampio respiro ed alta qualità, che privilegia una relazione docente / discente a contatto con la natura». Un principio che, si legge, ispirava alcune scuole filosofiche greche e che il nome scelto vuole fortemente richiamare ( vedi scheda evento ).

Per comprendere in pieno il significato del dialogo che l’attore Mimmo Minà ha letto impersonando la figura di Socrate, occorre contestualizzare il fatto: Critone, amico del filosofo che è in procinto di scontare la pena di morte, prova a convincerlo a salvarsi, a fuggire dal carcere, e nel far ciò adduce molte e attendibili motivazioni. Ma Socrate, fedele a quelle leggi che ha sempre servito e immaginando che quelle stesse leggi, prendendo parola, lo ammonirebbero se lui vigliaccamente fuggisse, rifiuta le offerte dell’amico e attraverso la sua dialettica lo convince dell’errore delle sue parole: lui affronterà la morte con lo stesso animo con cui ha sostenuto ogni frangente della vita. «Dopo un incontro come questo si torna a casa e si è necessariamente indotti a riflettere», si è detto: e così è stato. Così è stato in virtù di quell’atmosfera sospesa che è stata creata dal Tempio della Vittoria di Himera, un sito archeologico che, nonostante si trovi a due passi dall’autostrada, pare strapparsi alle grinfie del Tempo, pare per un attimo appisolarsi ai margini del suo inesorabile scorrere per offrire il perfetto sottofondo panoramico alla lettura di un “classico”.

Quali, allora, le riflessioni a proposito? Innanzitutto, si riflette sulla scelta di Socrate, sulle parole che trasmette all’amico Critone, sulla totale abnegazione e radicalità con cui il filosofo affronta una morte comminatagli ingiustamente per restale fedele alle leggi della sua città e al «principio di giustizia», quel principio che innalza l’animo e che mai deve essere abbandonato, nemmeno quando si è vicini ad attraversare la dubbiosa soglia, perché, «non il vivere è da tenere in massimo conto, ma vivere secondo virtù e rettitudine».

Lo spunto alla riflessione è stato dato, oltre che dalle parole lette da Mimmo Minà, da momenti che hanno frazionato la lettura, frangenti in cui sulla parte appena letta si è accennato, da parte di esponenti dell’associazione Paideia, ad una meditazione, ad una attenta considerazione, ad un commento critico; inoltre Gaetano Siino, alla chitarra, ha regalato brevi momenti di musica tra uno stralcio e l’altro, rendendo la sua “parola” complementare a quella di Socrate, favorendo i partecipanti all’incontro nel loro atto riflessivo.

Così, a chi scrive il presente articolo, è venuto in mente un momento del Secretum petrarchesco, altra opera intessuta in forma di dialogo e cui le opere platoniche avranno fornito indubbio modello: «Se tu avrai veduto qualcuno così consapevole della propria natura mortale da averla ogni giorno - regolandosi su di essa - davanti agli occhi, e che, disprezzando ciò che è destinato a perire, aspiri a quella vita dove cesserà d'essere mortale, se l'avrai veduto potrai finalmente dire che costui possiede una vera e feconda cognizione del concetto di uomo». La frase, nel dialogo petrarchesco pronunciata da S. Agostino al poeta toscano, pare didascalia perfetta, diapason su cui modulare ogni riflessione sull’atteggiamento socratico di andare incontro alla morte per quel «principio di giustizia» che è stato motore e generatore della sua vita, valore imperituro.

Ma un altro punto solletica la nostra mente, il cavallo di battaglia di chi si professa un classicista, ossia, certamente, l’attualità di un “classico”, la consapevolezza che anche a distanza di più duemila anni le pagine di un autore possano ancora grondare del sangue di chi le legge, possano ancora dire la nostra storia, gridarla.  L’animo umano, così si legge nel Critone, è la parte più luminosa dell’uomo, quella che più va curata, è stata, secondo la filosofia platonica, a contatto con le Idee, con la Verità, la sola che può guidare verso la luce, per l’appunto. Riflessione e guida morale: questo è ancora un“classico”, questo è il perché la loro luce deve continuare ad abbagliare le nostre menti, questo è il motivo per cui le nuove generazioni vanno plasmate sotto la loro ala protettrice.

Entrando in quel tempio, e facendo un passo indietro di oltre duemila anni, si rimane fermamente ancorati nel presente, si guarda alla nostra storia, alla nostra semplice e complessa quotidianità, con un occhio diverso, con spirito più critico, guidati da una luce nuova, perché a sentir parlare Platone, dopo un incontro così, si torna a casa e diventa inevitabile fermarsi a riflettere.

 

 

 

 

 

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