Quel «girare e girare» la Sicilia di Vincenzo Consolo


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(21 gennaio 2016) - Riproponiamo quest'articolo nel giorno in cui ricorre il quarto anniversario della scomparsa dello scrittore di Sant'Agata Militello.

 

(23 gennaio 2013) - «Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta d’addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca». Questo pensiero apre il racconto Comiso (V. Consolo, Le pietre di Pantalica, Mondadori, Milano 2009, p. 175) e senza intermezzi dialettici esprime la cifra umana e letteraria di Vincenzo Consolo, il suo amore alla Sicilia. Qui nasce alla vita il 18 febbraio 1933 e di essa descrive luoghi, storie, umanità. A Milano, dove vive e lavora, questo legame diventa memoria e attesa di nuovi ritorni fino all’ultimo dei suoi giorni. Consolo muore un anno fa, precisamente il 21 gennaio del 2012; l’ultimo viaggio lo ha chiesto per tornare nella sua città natale, Sant’Agata di Militello, dove riposa. Durante la settimana in corso in più d’una città sono stati organizzati convegni e incontri per ricordarne la figura e l’opera.

Alla sua dimensione comunicativa sono stati dedicati studi per saggiare quell’originale intreccio linguistico e narrativo che ne distingue gli scritti. Egli, del resto, non aveva mai fatto mistero di questa ricerca di significati, parole e suggestioni affidate a pagine dal profilo romanzato inconsueto. E non è in dubbio che interpretazioni e valutazioni ne metteranno a tema le caratteristiche e il sottofondo letterario e culturale sul quale si è affinato il suo stile, rendendolo interessante sotto molti versi. Ed è qui che si apre il campo dei confronti e delle relazioni. Il Novecento siciliano trova nella triade Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo il prisma attraverso il quale passano le principali narrazioni dell’isola al centro del Mediterraneo. Lo dicono immagini e articoli che hanno segnato gli annali del secolo trascorso: la nota fotografia che ritrae i tre scrittori insieme evoca ricordi ed esprime significati ben precisi. I prossimi anni consegneranno nuovi dettagli e specificheranno aspetti letterari e aneddoti umani che diranno altro sulla composizione ed evoluzione dei loro rapporti.

La Sicilia è la fonte che offre ispirazioni allo scrittore di Sant’Agata di Militello. Essa è il palcoscenico storico e sociale sul quale si muovono uomini e trame che nascono dalla vita del popolo e ne documentano aspirazioni di riscatto, anche quando i protagonisti sono aristocratici o viceré. Nel timbro della “sicilianità” letteraria di Consolo c’è questo elemento chiaro e ci sono complessità ulteriori che disegnano le quinte sceniche di un contesto in cui si sono sedimentate questioni e malinconie ataviche. E questa condizione Consolo vede e non nasconde, ma racconta con un amore per la sua terra perseguito alla luce del sole cercando una via che la conduca fuori dalle ombre del suo passato. Nel suo «girare e girare» in Sicilia questo sguardo sulle cose gli è stato compagno per interpretarne il passato e il presente; Retablo è una tra le opere dove si capisce che la ragione indaga paesaggi e monumenti, osserva le contraddizioni giunte dai secoli e ne trova lo spunto per un’apertura al senso infinito della storia.

Debbo segnalare, a margine, che molte di queste considerazioni provengono direttamente dall’intreccio di letture e dialoghi con lo scrittore di Sant’Agata di Militello. Il ricordo è accresciuto e dimensionato insieme alla lunga e bella amicizia con il nipote Rino, il cui nome compare più volte tra gli scritti di Consolo. Entrambi sono nel mistero dell’essere, dove riposano tra gli uomini liberi e di buona volontà; entrambi mancano ai siciliani che desiderano una vita più giusta.

 

 

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