Belice 1968: la ricostruzione, il ricordo, la rinascita


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(14 gennaio 2016) - Riproponiamo quest'editoriale nei giorni in cui si ricorda l'anniversario del terremoto nel Belice.

 

(16 gennaio 2013) – Tre parole disegnano il contorno di quanto ha via via formato l’insieme complesso di analisi ed emozioni poste in essere da un evento di quasi 50 anni fa. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 la terra ha tremato nella valle del Belice scatenando una forza tremenda come poche altre volte si ricorda tra gli annali della storia di quest’isola al centro del Mediterraneo.

Tre parole ritornano quando le ricerche e la memoria portano al terremoto del Belice: ricostruzione, ricordo, rinascita. E in mezzo a esse mille altre parole e sentimenti conducono agli affetti cari della gente di quest’angolo di Sicilia; più d’una decina di paesi sono crollati e il loro nome richiama significati e valori che queste tre parole evocano senza mezze misure. Gibellina, Santa Margherita di Belice, Montevago, Santa Ninfa, Poggioreale, Salaparuta, Menfi sono solo alcuni dei centri colpiti dal sisma. La terra siciliana ne rimane ferita gravemente e le comparazioni possibili fanno riferimento al terremoto che l’11 gennaio del 1693 sconvolge il val di Noto e alla distruzione che il 28 dicembre del 1908 cade su Messina e Reggio Calabria segnando questo sisma come tra i più devastanti della storia europea.

La ricostruzione del Belice è andata avanti nei decenni successivi al terremoto in un’Italia che nella propria ancor giovane storia nazionale aveva affrontato soprattutto i danni delle guerre, le questioni socio-economiche e industriali di un’economia sbilanciata tra le sue diverse regioni e le difficoltà sedimentatesi nel Mezzogiorno. L’Italia repubblicana, infatti, non aveva ancora visto che cosa succede quando la terra trema con l’intensità registrata nel Belice. E questo aspetto è stato posto nel campo delle spiegazioni riguardanti le lentezze e i problemi della ricostruzione. Dossier e reportage giornalistici del tempo sono ancora utili per rivedere volti e paesi e imparare da loro le lezioni che impartisce la storia e il rispetto che si deve alla natura. Non sono mancate osservazioni e polemiche su forme architettoniche e strutture urbanistiche con cui è stato ripensato e ridisegnato questo territorio. Se ne è già detto molto e molto altro, su questo tema, resta da dire.

Ma dalla storia della ricostruzione possiamo trarre indicazioni di particolare importanza che portano diritto al profilo generale di un discorso sul senso della comunità, sul valore dell’arte e della cultura come dimensioni integrate nel territorio, sul rapporto tra le generazioni nella condivisione dinamica della memoria. Ed è bene ricordare che grande è il numero di donne e uomini di buona volontà che hanno cercato forme ed esperienze associative per ripartire e per dare una concreta espressione alla speranza d’una rinascita. Lo dicono le molte realtà cooperative che sono nate per dare migliore organizzazione al lavoro nei campi fertili e ne sono esempi eccellenti olio e vino prodotti in questa zona. Il Belice è diventato negli anni un nome che esprime e rappresenta in maniera unitaria i centri abitati della vallata. Si tratta di un tema interessante che merita altri approfondimenti in merito al ruolo e alle prospettive dell’associazionismo e della cooperazione per affrontare correttamente le questioni e le criticità attuali. Ecco perché la ricostruzione e il ricordo si legano a filo doppio a un’altra parola, rinascita, e insieme raccontano l’attesa e il lavoro per una ripartenza sempre nuova nel segno del bene comune lungo la linea del tempo.

 

 

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