Ventorino e la speranza di Giussani


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Francesco Ventorino, Luigi Giussani: il coraggio della speranza, Prefazione di Michele Pennisi, Marietti 1820, Genova-Milano 2013


 

 

(6 luglio 2013) – Un’introduzione al pensiero di don Luigi Giussani, scomparso nel 2005, ideatore a Milano del movimento ecclesiale Comunione e Liberazione: ecco cos’è il volume uscito di recente per i tipi di “Marietti 1820” a firma di Francesco Ventorino, il quale peraltro sulla fascinosa vicenda del prete lombardo – come su altri temi, soprattutto filosofici – ha prodotto una bibliografia già lunga e sostanziosa. 

Difatti, concentrarsi nella lettura del libro, intitolato Luigi Giussani: il coraggio della speranza, prefato dall’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi e postillato infine da Andrea Bellandi, Giancarlo Cesana e mons. Luigi Negri, equivale a una densa anche se veloce “full immersion” nell’articolata riflessione teologico-spirituale del fondatore di CL, che ormai gli storici del cattolicesimo italiano non possono più dribblare, riconoscendole – come merita – la dignità di una vera e propria visione del mondo, complessa ancorché mai complicata, timbrata da un profondo profilo intellettuale e animata da un afflato mistico, che pur mantenendo tratti peculiari si può paragonare a quella di altre personalità credenti del ’900, come Divo Barsotti e – non sembri disparata la menzione – Giuseppe Dossetti.

La specola scelta da Ventorino, nelle sue pagine, è appostata sul crinale escatologico, lì dove per primo san Paolo discerneva la dialettica tra già e non-ancora, dosando presente e futuro, continuità e discontinuità, valorizzazione dell’oggi e sua trasfigurazione domani o, al limite, suo superamento finale. Ma mentre l’Autore interloquisce con teologi e filosofi – con Agostino e Tommaso, che erano congeniali a Giussani, ma anche con Pieper, Guardini, Balthasar, oppure col siciliano Ruggieri e tramite lui con Bultmann e Culman, oltre che con Ratzinger e Habermas, e persino con “teologi laici” come Vito Mancuso o con “atei devoti” come Giuliano Ferrara – per riuscire a distinguere l’ottimismo escatologico dal catastrofismo apocalittico, il lettore può respirare a pieni polmoni l’atmosfera globale del pensiero marcato Giussani e attingerlo direttamente grazie alle numerose citazioni tratte dagli scritti di don Luigi. Da cui sortisce non un devoto rimando alle “realtà ultime”, bensì una meditazione sulla valenza del “penultimo” e delle sue dimensioni più nobilmente umane, a cominciare dall’impegno educativo – che dà luogo alle nuove generazioni – per giungere alla politica e all’arte operosa dell’abitare insieme la città, passando attraverso la produzione della cultura e la fatica del lavoro. L’escatologico cristiano, infatti, non si colloca oltre la storia, ma vi s’innesta dentro per fecondarla con la presenza di Dio. Così la storia stessa si escatologizza. Essa non è mera evoluzione cronologica, ma evento kairologico, cioè tempo graziato, corroborato dall’avvento di Dio e vissuto dagli uomini in compagnia di Lui.

Questa comprensione escatologica della storia si distende in una suggestiva polarità: dall’alto la propensione divina a chinarsi, dal basso – proporzionalmente corrispondente all’iniziativa di Dio in Cristo – la tensione umana a oltrepassarsi infinitamente. E si esprime tramite un lessico ricco di parole non scontate, mai ovvie: desiderio, destino, compito, responsabilità, promessa, compimento, anticipazione, tutti termini strettamente correlati.

Ne deriva una visione convertita della storia, sottratta all’esito nichilistico paventato dai moderni: ogni inizio soltanto materiale è votato a “una fine”; ma se questa si scopre essere piuttosto “un fine”, allora anche l’inizio viene concepito “ex novo” e si traduce in una vocazione, in un progetto, in una destinazione. Così l’escatologico cristiano non è una sorta di “day after” della storia, bensì l’intreccio di attesa e intrapresa, il cui punto di forza è la coraggiosa virtù della speranza.

 

 

 

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