Franca Alaimo, Sempre di te amorosa, LietoColle 2013
(15 novembre 2013) – Da Ungaretti a Caproni la madre è stata fonte inesauribile di ispirazione poetica nel secolo scorso. Lo è anche nel Duemila.
Alla figura della madre è dedicata la silloge di Franca Alaimo, poetessa palermitana d’adozione, Sempre di te amorosa edita da LietoColle. Una madre peraltro che l’autrice (lunga e variegata la sua esperienza poetica) ha appena conosciuto, essendo morta quando aveva solo 4 anni, e la cui storia, singolare e struggente, è raccontata nel brano narrativo Tortorici di Stefanie Golisch che precede la raccolta.
Ma la funzione genitoriale, e quella di madre in particolare, non è circoscritta nel tempo, astrae da esso. L’Alaimo, seppure della madre non serba che un vago ricordo, la insegue, la invoca, la implora nella ricerca di se stessa bambina, di quelle sensazioni uniche seppellite dall’inesorabile scorrere del tempo: «Ecco la mia visitatrice che ritorna e mi offre/ Le mani di latte, odorose di capra», «Lei mi custodiva la mano/ come una colombella nella gabbia per paura che mi perdessi».
È un dialogo continuo quello tra l’Alaimo e la madre, una consonanza di sensi acuita dall’assenza («Non so perché da tanto tempo assente/ Mi passeggi nel cuore come fosse stato ieri»), che conduce, tramite una sofferta esplorazione interiore più potente del trasporto psicanalitico, a momenti di identificazione.
In Sempre di te amorosa la tensione lirica non conosce pause, sofferenze e gioie modulate nella melodia del canto si intrecciano nel proscenio di una natura rigogliosa. E la vita, con le sue ancestrali dolcezze frutto dell’amore materno, si confonde con la morte, sino al punto che l’autrice si consegna alla madre, «al leggero e gravido nulla/ sempre prossimo alla germinazione».