«L’archeologia industriale di Palermo», conferenza di Daniela Pirrone

 

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(27 marzo 2014) – Giovedì 20 marzo l’architetto Daniela Pirrone, autrice di studi approfonditi sul tema, ha tenuto la conferenza dal titolo “L’archeologia industriale di Palermo”; l’incontro fa parte di un ciclo di dibattiti organizzati presso la biblioteca “Danilo Dolci”, all’interno dell’Istituto Publio Virgilio Marone sito a Palermo in via Valdemone 7, mediante i quali adulti e ragazzi hanno periodicamente la possibilità di incontrare scrittori e studiosi siciliani.

La densità delle architetture a scopo industriale presenti in un territorio è da sempre considerata come un indice della produttività di quel territorio stesso, sia in una grande città, in un piccolo centro di provincia o in una zona agricola fuori dal centro abitato. Numerose sono le fabbriche che sono identificabili e riconoscibili proprio dal sito nel quale operano ma quando la fabbrica cessa la produzione spesso dismette i locali che prima o poi, se non vengono riconvertiti o addirittura demoliti, cadranno nell’oblio e nell’abbandono, divenendo presto preda dell’incuria e del degrado; è in questa fase che l’architettura industriale si trasforma in archeologia industriale.

Fino al 1860 la città di Palermo aveva una spiccata vocazione più commerciale che industriale essenzialmente per due ordini di motivi: in primo luogo perché a Palermo si preferiva investire sul commercio e sugli scambi economici per sfruttare al meglio la presenza dei suoi numerosi approdi e del suo ampio porto e, in secondo luogo, perché i beni prodotti in città avrebbero avuto scarsa distribuzione in quanto le strade di comunicazione attraverso cui si sarebbero dovute trasportare le merci, da Palermo verso il resto dell’isola, non erano numerose e sicuramente neanche in grado di garantire un traffico così regolare ed impegnativo.

Con l’avvento dell’unificazione nazionale muta la compagine sociale, commerciale ed industriale ed ecco che fanno le loro prime apparizioni le grandi figure imprenditoriali che hanno caratterizzato l’Ottocento siciliano come Ahrens, Caflisch, Ducrot, Florio, Ingham e Whitaker, tutti destinati a diventare protagonisti della scena economica e sociale della Sicilia tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Nel corso della conferenza sono state presentate al pubblico numerose fotografie di interessanti siti di archeologia industriale presenti a Palermo, alcuni ancora ben visibili, anche se sconosciuti ai più, altri inseriti in contesti urbani abbandonati, inaccessibili e spesso pericolanti. Le slides proiettate, tutte ordinate per categoria industriale o merceologica, hanno consentito di ripercorrere quasi due secoli di imprenditoria palermitana: una caratteristica quasi comune a tutti i complessi presentati è la presenza dell’imponente ciminiera, elemento indissolubile di ogni fabbrica tardo-ottocentesca; tali ciminiere, ricorda Pirrone, oggi sono di una rarità indescrivibile in quanto, create con materiali non più utilizzati, non esistono più le maestranze in grado di riprodurle. In via Messina Marine, ad esempio, è possibile scorgere le canne fumarie dello stabilimento Puleo-Di Fazio, della fabbrica di laterizi Vernengo, o della fabbrica di refrattari D’Attardi.

Nell’ambito dell’industria conserviera scorrono le immagini delle ditte Clemente, Pensabene, Raspante e La Rosa. Seguono le foto del pastificio Virga-Pecoraino in Corso dei Mille, del pastificio Sepi e del mulino sito all’interno del Convento di S. Antonino, all’interno del quale è ancora conservato il mulino in legno più grande d’Europa. A seguire la Pirrone racconta i dettagli storici e tecnici del Gasometro di S. Erasmo, utilizzato per la trasformazione del carbone in gas per l’illuminazione stradale; della Fonderia Basile, fondata da un discendente di G. B. Basile che lavorava presso la famosa Fonderia Oretea; della ditta Ahrens, il primo stabilimento enologico palermitano.

Ahrens, con il contributo estetico dell’architetto Armò, fu anche titolare di un rinomato mobilificio, l’unico vero concorrente della Ducrot che lavorava in sinergia con un altro grande architetto, il celebre Basile; tale accesa concorrenza è riscontrabile nelle reclame pubblicate nei numeri del Giornale di Sicilia d’inizio secolo.

Chiudono la galleria di immagini le foto del Saponificio Vitale, dello Stabilimento cromolitografico Salerno, dell’industria tessile Gulì e del Cotonificio siciliano, definito come una delle più belle architetture industriali italiane, oggi a rischio di demolizione.

L’ultima parte della conferenza è dedicata a due elementi determinanti per lo sviluppo imprenditoriale di una fabbrica: il primo è senza dubbio la pubblicità, effettuata attraverso opuscoli e inserzioni sui giornali; il secondo è la veste grafica degli imballaggi delle merci e l’aspetto cromatico dell’inscatolamento delle conserve, che sono contenute in piccole scatole di latta dipinte con colori accesi proprio con lo scopo di richiamare l’attenzione del potenziale acquirente.

Osservando le fotografie descritte, e le tante altre presentate dalla Pirrone, ci si rende conto di quanto questo immenso patrimonio architettonico, oggi abbandonato, sia stato al centro della rinascita industriale del nostro territorio per più di un secolo, dalla nascita dell’unità d’Italia all’Esposizione Nazionale del 1891, dal Liberty al dopoguerra. Ed è auspicabile che questi siti possano essere strappati all’incuria ed all’indifferenza, restaurandoli e dando loro nuova vita.

 

 

 

 

 

 

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