Pasquale Scimeca: un film per vedere dove guarda Biagio Conte

 

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(9 marzo 2015) – Lunedì 2 marzo ore 21. Il salone della Missione Speranza e Carità di Via Decollati a Palermo è gremito. Ma non per una cerimonia liturgica, come spesso accade, o per una riunione con i volontari. I volontari ci sono tutti ed ancora una volta sono stati convocati da Biagio, ma non il Biagio Conte in carne e ossa che tutti conoscono, ma “Biagio” il protagonista del film che Pasquale Scimeca ha voluto girare su di lui.

Ma lui, quello con cui tutti lavorano da tanti anni e da cui hanno imparato un modo di vivere la carità senza se e senza ma, non c’è. Tocca a don Pino Vitrano spiegare che Biagio si è messo in cammino da una settimana, a piedi, con la croce in mano per un viaggio di testimonianza e annuncio attraverso le province di Palermo, Catania, Siracusa e Agrigento. Tutti desiderano avere notizie più precise. E don Pino racconta: “Dopo una settimana dalla sua partenza, avendo ricevuto da lui una sola telefonata, abbiamo deciso di andarlo a cercare. Grazie al tam tam dei tanti che lo conoscono siamo riusciti a rintracciarlo in un comune del palermitano. Lo abbiamo trovato attorniato da un nugolo di abitanti del posto cui stava annunciando la “Buona Novella”. Dopo aver chiesto ai presenti qualche notizia di Biagio e sul suo stato di salute, ci hanno detto: «State tranquilli ad ogni sosta c’è un gruppo di persone che lo accompagna nel paese successivo e così di paese in paese tornerà a Palermo. Forse non basteranno le tre settimane che si è dato di tempo, ma state tranquilli non lasceremo mai Biagio solo».

Dopo queste rassicurazioni e una breve presentazione del film fatta dal regista inizia la proiezione. Inutile negarlo: c’è in salone un filo di scetticismo. Cosa avrebbe detto, come avrebbe presentato la figura di Biagio uno che lo conosce molto meno dei presenti, uno che per sua ammissione ha girato il film più per le pressioni dell’attore principale (Marcello Mazzarella) che per suo desiderio? E poi come si fa a raccontare la storia di uno che è ancora vivo e che opera in modo incessante fra noi?

Un applauso di consenso (e un po’ liberatorio) conclude la visione. Chi è in prima fila può notare come il plauso dei presenti commuova anche il regista. Forse la prova più difficile è stata superata: riuscire ad esaltare l’aspetto che più caratterizza Biagio Conte. Il film riesce a far comprende in modo semplice e efficace come il suo impegno per gli ultimi nasca da un percorso di fede drammaticamente e coerentemente perseguito fin dagli anni della giovinezza.

Il dibattito parte subito da qui. Perché raccontare di Biagio gli anni del suo tormento interiore, quelli trascorsi, dopo aver abbandonato la famiglia e gli agi della città, prima in campagna a fare il pastore nelle campagne di Raddusa. E poi i lunghi mesi del suo pellegrinaggio a piedi fino ad Assisi, per scoprire lì la forma concreta della sua vocazione?

Scimeca chiarisce subito che non ha voluto raccontare una storia, seppur bella e interessante, ma che ha voluto presentare un uomo, nella sua più drammatica esperienza: la ricerca di Dio. E questo tema, questa domanda, torna insistente in bocca a tanti personaggi. «Ma tu hai incontrato Dio?» chiede Salvatore, il figlio del pastore Rosario a Biagio prima della sua partenza per Assisi. «E tu credi in Dio?» chiedono con insistenza altri personaggi nel corso del film.

E man mano che Scimeca parla si comprende sempre più chiaramente che questa domanda è innanzitutto la sua. È il regista alla ricerca, raccontando di Biagio, di un significato della vita che in Biagio riconosce e che in lui non è ancora giunto a compimento. Più le domande si fanno incalzanti, più si verifica una sorte di dissolvenza: il dramma esistenziale di Biagio si scioglie lentamente per prendere le sembianze di quello di Pasquale.

Figura di snodo del percorso è un frate francescano (realmente incontrato da Scimeca) oggi missionario in Africa, che svolge il compito di Virgilio, il quale accompagna Dante, in un percorso suo che non può evitargli, ma nel quale è prodigo di consigli e suggerimenti. E così mentre il Biagio del film procede verso Assisi assecondando i segni, spesso faticosi e drammatici, che incontra nella sua strada, il Pasquale attore racconta, quasi inconsciamente, di sé e del suo dramma interiore. Un dramma per nulla mistificato o ridimensionato, un dramma non concluso e del quale desidera giungere alla stessa chiarezza che ha incontrato nella sua vita Biagio Conte.

Tutto ciò viene spiegato con le scelte operate nel film.

Prima quelle tecniche: le inquadrature in campo lungo, i silenzi degli attori, il protagonismo della natura nella prima parte. A questa si contrappongono i primi piani, i dialoghi sempre brevi e efficaci, l’aumento dei personaggi nella seconda parte.

Poi quelle sugli attori: quasi tutti non professionisti, soprattutto quelli delle scene finali in cui Biagio inizia la sua attività caritativa tra i barboni della stazione centrale di Palermo. Anche il cane “Libero”, che accompagna Biagio dalla Sicilia a Assisi, è stato scelto alla stessa maniera. È stato prelevato dal canile municipale, che si trova vicino alla Missione, ed è stato addestrato dagli attori «a voler bene agli uomini, quelli che lo avevano maltrattato» ed alla fine ricambiando con una recitazione da far invidia ai suoi “colleghi” più famosi, ormai divi di televisione e cinema.

È quasi mezzanotte. Bisogna tornare a casa, ma le domande aumentano ed ogni risposta ne apre un’altra… Finché Pasquale racconta in prima persona del suo primo incontro con Biagio.

«Da sempre il progetto cui tenevo di più era fare un film sulla vita di Cristo. Avevo provato a scrivere la sceneggiatura, ma mi fermavo sempre al momento in cui Cristo lasciava la famiglia e iniziava la sua missione pubblica. Non riuscivo ad andare avanti. Presa la decisone di fare il film su Biagio lo incontrai. Del film non volle sapere nulla. Parlammo di noi. Messo a mio agio dal suo modo di fare ebbi il coraggio di chiedergli perché non riuscissi ad andare avanti nel mio impegno cinematografico. La sua risposta fu: “Perché non hai la fede”. Solo dopo e pian piano ho compreso, stando con lui e guardando come lui vive, che la figura di Cristo non la si può raccontare, non è il fatto storico che può interessare l’uomo di oggi, ma l’attualità e la contemporaneità della sua persona. Il mio percorso spirituale non è concluso. Ma ho capito come doveva o non doveva essere raccontata la figura di Biagio. Ecco perché, non lo lego, in quel Biagio c’è anche un pezzo di me, quello ancora alla ricerca. Quello che da questa esperienza ha aumentato il desiderio di andare fino in fondo a questa ricerca. Vedremo come andrà a finire. Adesso, però se il film vi è piaciuto, aiutatemi a farlo conoscere, perché un film che parla della ricerca di Dio oggi interessa poco. Lo sapevo prima di cominciare. Ma insieme a tutti quelli che hanno lavorato e creduto nel film, abbiamo voluto accettare una sfida. Vi chiediamo di poter essere vostri compagni di strada».

 

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