«Attila», opera “minore” di Giuseppe Verdi, ma dagli spunti interessanti

  

(23 febbraio 2016) – Dal 19 al 26 febbraio 2016 in scena al teatro Massimo una delle opere “minori” di Giuseppe Verdi, un’opera politica, che ha come protagonista il grande re degli Unni: “Attila”.

Personaggio contrastato, rude e sanguinario condottiero, ma capace anch'egli di amare. E di amare una schiava. Si tratta di Odabella, figlia del sovrano sconfitto, per la mano della quale egli stesso morirà. Ad essa, figlia del signore di Aquileia, gli Unni avevano ucciso la famiglia e della sua città non era rimasto nulla. È così che lo spirito di vendetta inizia ad alimentarsi nel suo cuore.

Nel prologo il generale romano, Ezio, propone ad Attila un accordo, sdegnosamente rifiutato. Così viene organizzata una congiura da parte di Foresto, marito di Odabella e dello stesso Ezio, contro Attila. Odabella svela tutto al nemico, perché in realtà è lei che vuole ucciderlo. Attila, affascinato dalla donna, decide di perdonare Foresto e propone di sposare Odabella. Ma essa riuscirà a consumare la sua vendetta uccidendolo, proprio mentre i romani invadono il campo dei barbari.

Spunto interessante è l'introspezione dei personaggi: in un “ribaltamento totale delle categorie”, dalle parole dello stesso regista, abbiamo da una parte un "barbaro", quindi nemico, straniero, ma con solidi valori e un pensiero raffinato, mentre, dall'altra un romano, Ezio, macchiato dalla corruzione, e un oppresso, Foresto, insicuro e dalla scarsa personalità. 

L’opera è significativa anche nella contestualizzazione del periodo storico e politico in cui è nata, un momento in cui l'Italia è tutta “da fare” (prima rappresentazione il 17 marzo 1846). L'anno dopo, ben quindici teatri la mettono in scena, generando nel pubblico forti sentimenti patriottici.

Eppure, spicca maggiormente la bellezza della musica rispetto al contenuto stesso dell'opera: tipicamente verdiana, riconoscibilissima dagli amanti del genere, va dall'espressività della linea melodica riconoscibile nel Preludio (gli archi del Teatro si fanno sempre apprezzare per la bellezza e la compattezza del suono), ai ritmi marziali, adatti al contesto. Un caro e vecchio Verdi sempre apprezzabile, pur se non ai livelli delle sue grandi opere.

Un po’ tiepide le scene; meno tiepida, ma non del tutto entusiasta, la risposta del pubblico.

Molto apprezzato, invece, il direttore d’orchestra, Daniel Oren, considerato uno dei più grandi al mondo: nell’espressività del gesto e nella forza delle dinamiche, Oren ha interpretato personalmente i temi dell’opera: diritti, patriottismo e libertà, temi che ha sentito molto vicini essendo egli stesso un israeliano.

Un nuovo allestimento del Teatro Massimo, in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro La Fenice di Venezia, con la regia di Daniele Abbado, scene e luci di Gianni Carluccio, costumi di Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro.

Nel primo cast, ad interpretare il re barbaro, per la prima volta nella sua carriera, Erwin Schrott, grande basso-baritono uruguaiano acclamato nel teatri di tutto il mondo e specializzato anzitutto nei ruoli mozartiani.

Ancora una volta artisti di prim’ordine per il Teatro Massimo che, pur con un’opera “minore”, riesce ad attirare, ogni volta di più, palermitani, turisti, affezionati e molti giovani.

 

 

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