“Dieci storie proprio così”, uno spettacolo per mantenere viva la memoria delle vittime delle mafie

 

In occasione del ventiquattresimo anniversario della strage di Capaci, il 23 maggio scorso è andato in scena al Teatro Biondo di Palermo lo spettacolo “Dieci storie proprio così”: rappresentazione teatrale mediante la quale vengono portate alla luce una decina di storie legate ad altrettante vittime della criminalità, sia essa mafia, camorra o ‘ndrangheta.

Tanti sono, purtroppo, i nomi citati, alcuni molto noti e tanti poco conosciuti o purtroppo spesso dimenticati: trattasi di magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, imprenditori, giornalisti o semplici cittadini, testimoni scomodi o vittime ribelli che non si sono piegati ai soprusi dei violenti.

La drammaturgia è di Emanuela Giordano e di Giulia Minoli per la regia di Emanuela Giordano, le musiche originali sono di Antonio di Pofi e di Tommaso Di Giulio e sul palcoscenico Daria D’Aloia, Vincenzo d’Amato, Tania Garribba, Valentina Minzoni, Salvatore Presutto, Diego Valentino Venditti e Alessio Vassallo riaccendono la memoria su personalità come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Giuseppe Diana, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Annalisa Durante, Federico Del Prete, Silvia Ruotolo, Paolino Vella, Graziella Campagna o Teresa Bonocore.

In dieci ideali storie, mai slegate ma unite da un unico filo conduttore tessuto dalla video grafica di Davide Bastolla, si ripercorrono anni terribili fatti di omicidi, crudeltà, ma anche di rinascita civile, processi e condanne: ecco che la sofferenza e la paura diventano coraggiosamente denuncia, libertà e voglia di legalità.

Lo spettacolo fa parte della rassegna “Il teatro fa grande” ed ha già riscosso tantissimo successo a Napoli ed a Roma, in occasione della XXI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie.

Il primo protagonista è il piccolo Alberto, che con la madre va ad abitare allo Zen, “un mondo dove tutti comandano”; gli assegnano una casa ma la perdono subito in quanto già occupata abusivamente da altre persone e quindi di fatto irrecuperabile.

“Avevo bisogno di affetto, di tanto affetto, ma già a sei anni davo legnate, fino a farmi sospendere dalla scuola elementare che frequentavo”, dice il ragazzo, e continuava a sentirsi dire “Questo da grande diventerà un criminale”, fino a quando cominciò a frequentare una scuola di musica, “di mattina facevo il bandito, di pomeriggio facevo il bandito ragionevole, perché facevo il corso di teatro per ragazzi a rischio, e da allora le legnate non le do più”.

Dopo questo racconto passano in rassegna i nomi dei giornalisti e dei magistrati uccisi dalla mafia, i cui nomi sono accompagnati dalla lista dei nominativi di coloro i quali persero la vita sempre per mano mafiosa ma che sono poco conosciuti in quanto persone comuni, spesso non appartenenti né al mondo della politica né a quello della magistratura.

Figli, mogli, madri, parenti, o semplici cittadini che nulla avevano a che vedere con la criminalità organizzata ma che ugualmente perirono durante i numerosi attentanti criminali. E gli attori rievocano brevemente la nascita del pool antimafia, pensato da Rocco Chinnici e coordinato successivamente da Antonino Caponnetto, composto dai giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.

E la narrazione ripercorre tanto la nascita del pool quanto le evoluzioni delle indagini che vedranno il concretizzarsi delle tante pene comminate durante il celebre Maxiprocesso, iniziato nel 1986 e terminato con il terzo grado di giudizio nel 1992.

È la volta di ricordare Giancarlo Siani, cronista ucciso dalla camorra nel 1985: “la mobilitazione creatasi dopo l’omicidio di Giancarlo è stata la nostra forza”; quindi è possibile fermare questa corsa verso l’inferno in quanto “la mafia è un corpo estraneo, e quindi è possibile debellarla”, nonostante siamo in un periodo particolarmente delicato, ossia un periodo dove ad Ercolano c’era il racket, le estorsioni e il pizzo che “rompeva le gambe ai commercianti”.

Ecco che viene inscenata una telefonata tra un estorsore e un suo “collega”, un altro boss intento a pianificare un attentato estorsivo.

Con la nascita di “Addio pizzo”, anche l’opinione pubblica viene a conoscenza del fenomeno estorsivo e della sua entità, in termini, criminali, sociali ed economici.

Siamo a metà degli anni ‘90 e la denuncia dei commercianti inizia ad essere sempre più un’arma insostituibile per combattere il racket che si concretizza con il cosiddetto “consumo critico”: il consumatore, nonché cittadino, comincia a preferire i prodotti venduti da esercenti che non si piegano alle minacce mafiose; “pago chi non paga” diviene così il motto di chi per giustizia e solidarietà compra soltanto da chi non paga il pizzo:

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.

Contestualmente, in questo fenomeno di rinascita della coscienza civile, vengono finalmente coinvolti attivamente anche i più piccoli mediante campagne d’informazione dedicate e laboratori didattici sulla legalità; nasce la “Addio pizzo card” e, recentemente, “NoMa – Nomi delle vittime della MAfia”, una utile app per smartphone mediante la quale è possibile prendere visione delle biografie di tutti gli uomini uccisi dalla criminalità, ordinate in agevoli schede corredate anche dalla mappa interattiva che riporta al luogo dell’assassinio, al fine di contestualizzare in maniera completa l’uomo e il suo sacrificio.

Si narra dell’uccisione di altri due innocenti, il piccolo Fabio e Annalisa Durante, uccisa durante un agguato della camorra e a cui è stata intestata una scuola e che continua a vivere nel corpo di ben sette bimbi, grazie alla donazione dei suoi organi: “Via la camorra da Forcella è lo slogan di quel periodo”.

Dalle narrazioni delle vicende storiche ben si evince come non esistano storie principali o secondarie, storie più importanti e meno importanti bensì trattasi di un’unica storia, popolata da protagonisti meritevoli tutti di essere ricordati e la cui memoria non dovrà mai cadere nell’oblio.

Ed ecco che passano in rassegna altri martiri civili, vittime della camorra predominante presso Scampia: Paolino Vella, Graziella Campagna o Federico Del Prete, che ha lottato contro le estorsioni nei confronti dei venditori ambulanti, categoria a cui egli stesso apparteneva: “Ho ucciso un eroe” ebbe a dire il suo assassino, nonché suo grande amico.

E poi viene ricordato don Peppe Diana, sacerdote dallo spiccato impegno anti camorra ucciso nel 1994, Libero Grassi, imprenditore ucciso a Palermo nel 1991, Peppino Impastato giornalista fondatore della celebre Radio Aut e morto per mano mafiosa nel 1978 e Teresa Bonocore, madre esemplare: “una madre o parla o sta zitta; e una madre zitta non può stare ! “.

Subito dopo è stata citata “Libera Terra” ed è stata fatta una profonda riflessione sulla legge sul riutilizzo dei beni confiscati alla mafia e sulle condizioni delle grandi città di oggi: Palermo è malata, Napoli è malata, ma anche Roma è malata” ricordando come sia indispensabile la coabitazione e la condivisione degli obiettivi per una convivenza civile votata al bene assoluto: “Insieme! Per questo sono nate le città e le piazze, per stare insieme, non per aver paura gli uni degli altri!”.

Così volge al termine uno spettacolo speciale rappresentato in un giorno speciale, che ha assunto un’alta valenza artistica ma al tempo stesso sociale, storica e giornalistica, che si conclude con le luci in sala accese ed un grande coro all’unisono da parte di tutti gli attori e dell’intero pubblico presente che urla a gran voce: “Non ci abbattiamo, noi combattiamo, tutti insieme! - Combattiamo!”.

 


 

SPETTACOLI - Dieci storie proprio così, uno spettacolo per mantenere viva la memoria delle vittime delle mafie nell'anniversario della strage di Capaci

(ph. Carlo Guidotti)


 

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