Libertà di educazione e scuola dell’infanzia: facciamo il punto con Nicola Iemmola

 

Il tema della libertà di educazione, in particolare quella relativa alle scuole materne, si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica siciliana grazie alle manifestazioni di protesta messe in atto dalla Fism siciliana (la Federazione che raccoglie le Scuole dell’infanzia) il 12, 13 e 14 marzo scorso, contro i tagli operati dalla recente legge finanziaria regionale.

Nel corso dei tre giorni genitori e gestori delle scuole hanno invitato i cittadini a sottoscrivere una petizione che chiede il ripristino del Buono Scuola e a mantenere i contributi regionali per le scuole dell’infanzia paritarie che accolgono gratuitamente alla frequenza bambini di disagiate condizioni economiche.

Le scuole dell’infanzia paritarie ricevono dallo Stato in forza della legge 62/2000 C. d. della parità scolastica un modesto contributo. Pertanto i costi di gestione ricadono principalmente sulle rette che pagano le famiglie. Il graduale e inarrestabile venir meno del personale religioso, che contributiva significativamente all’abbassamento dei costi, e la conseguente sostituzione con personale laico, che va adeguatamente retribuito, ha fatto sì che sia praticamente impossibile oggi la gestione di una scuola materna paritaria con le sole rette di frequenza, senza l’aggiunta di contributi pubblici.

Il sistema scolastico regionale dell’istruzione materna è costituito nel suo complesso da circa 800 scuole, di cui 500 paritarie, gestite da privati o da congregazioni religiose, aderenti alla FISM; le rimanenti sono comunali, regionali e statali. Queste ultime vengono finanziate, con le tasse di tutti noi, rispettivamente, da Comuni, Regioni e Stato. Anche per queste scuole i genitori pagano, in base all’ISE le rette per la frequenza e per la refezione Queste ultime, ovviamente non soffrono di carenza di finanziamenti, benché anche per esse le famiglie devono pagare una retta, mentre le prime sono quasi a totale carico delle famiglie, considerati i modesti contributi statali e regionali.

La situazione non è migliore per le scuole primarie convenzionate. La Finanziaria Regionale ha previsto per loro solo un contributo di € 8 mila per classe a fronte del contributo di € 19 mila a classe percepito dalle scuole primarie convenzionate del resto d’Italia. Insomma i genitori dei bambini di queste scuole sono doppiamente discriminati perché pagano due volte la scuola: una volta con le tasse scolastiche e un’altra volta con le rette di frequenza.

Abbiamo fatto il punto della situazione, peraltro ancora in divenire, con Nicola Iemmola, che è il Presidente regionale della Fism.

Partiamo dal suo giudizio sulla manifestazione.

Il mio, ma anche quello dei gestori e degli insegnati e di tante famiglie, è positivo innanzitutto perché abbiamo “acceso i riflettori” su un segmento dell’istruzione che meriterebbe più attenzione, non solo dall’opinione pubblica, ma anche dalla politica.

E la politica come ha reagito?

Fatte salve una buona fetta di ignoranza e di luoghi comuni che continuano a persistere in materia, abbiamo trovato una buona disponibilità a comprendere la bontà delle nostre ragioni. Ma poi c’è sempre l’alibi della mancanza di fondi che impedisce un concreta risoluzione del problema.

Ma perché parla di alibi? I soldi mancano sul serio nel bilancio della Regione.

Certamente se parliamo in termini di mero bilancio contabile. Ma è meglio spiegarlo con un esempio che riguarda la gestione della economia familiare. In famiglia i risparmi non si fanno solo diminuendo le spese ma razionalizzando quelle ineludibili e evitando quelle nuove. Secondo una ricerca dell’OCSE, confermata in parlamento dal Ministro Stefania Giannini la presenza delle scuole paritarie costituisce per lo Stato un risparmio di 6,5 mld di euro l’anno. Se queste scuole, malauguratamente, dovessero chiudere lo Stato non avrebbe le risorse economiche e le strutture per assicurare a tutti i cittadini il diritto allo studio come sancito in Costituzione (Art. 34 Costituzione).

E le vostre esplicite richieste che cosa chiedevano?

Allo scopo di rendere meno pesante la situazione delle scuole dell’infanzia paritarie e di ridurre la disparità con le scuole del resto d’Italia è necessario che il capitolo di spesa, che consente di accogliere gratuitamente alla frequenza e alla refezione bambini di disagiate condizioni economiche, ritorni alla sua dotazione originaria di 3 mln di euro, quella che aveva nell’esercizio finanziario del 2014. Aggiungo che il cap. nel 2008 aveva una dotazione di 8 mln di euro. Dell’emendamento si sono perse le tracce nell’ultima notte prima dell’approvazione del bilancio. Molti Parlamentari ci hanno poi promesso che lo recupereranno durante l’approvazione della C. d. Legge stralcio. La verità è che su questo tema fare adeguata informazione è quanto mai difficile.

Perché?

Questo tema, che più correttamente va definito col termine libertà di educazione soffre - anche qui da noi - di molti pregiudizi ideologici ed è pertanto necessario accompagnare ogni iniziativa pubblica con un rapporto diretto con le singole persone, perché si possa portare a compimento la riforma avviata nel 2000 con la legge. n. 62, affinché la ‘parità’ oltre che giuridica diventi anche economica. Ricordo che con quella legge in Italia venne istituito un unico Sistema Nazionale d’Istruzione costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Le scuole paritarie al pari delle scuole statali svolgono un servizio pubblico (commi 1 e 2 art. 1 legge 62/2000). E invece dobbiamo continuare a sentire politici, giornalisti, professionisti e genitori che contrappongono tra loro due realtà che non esistono.

Quali?

La scuola pubblica e la scuola privata.

Perché, non esiste più la scuola privata?

In Italia, come detto sopra, esiste il sistema nazionale dell’istruzione, di cui fanno parte le scuole statali e le paritarie ed insieme svolgono un servizio pubblico. Le scuole paritarie, anche se gestite da privati, laici o religiosi che siano, svolgono un servizio pubblico.

E questo cosa cambia, oltre alle parole?

Cambia l’angolo di visuale e quindi l’obiettivo finale.

Ci spieghi meglio.

Se un liceo gestito dai salesiani e un liceo gestito dal Ministero svolgono lo stesso servizio pubblico, cioè contribuiscono con pari dignità giuridica e sociale alla finalità previste dalla Costituzione, sostenere da parte dello Stato l’uno o l’altro è per lo Stato la stessa cosa. Questo principio detto di sussidiarietà è stato ribadito da due esortazioni che il Parlamento Europeo ha rivolto ai paesi membri della comunità europea.

E da noi?

Noi ci portiamo dietro retaggi di natura culturale, politica e ideologica che partono dall’Unità d’Italia e da come essa fu realizzata nei primi decenni. Riguardano la scuola, ma anche il sistema sociale, quello sanitario ed altri aspetti. Il discorso sarebbe lungo. Rimane il fatto che da noi ad ogni manifestazione sulla scuola dobbiamo sentire il solito slogan: No soldi alla scuola privata! Dimenticando più o meno volontariamente che dopo la legge 62/2000 voluta strenuamente dal Ministro di allora Berlinguer, che non era né cattolico né di destra, dobbiamo ancora concludere la sua attuazione tentando di far comprendere il vantaggio che lo Stato ha da queste scuole che molti vorrebbero chiudere.

E qual è questo vantaggio?

Quello derivante dai costi. Le scuole paritarie, laiche, cattoliche o gestite da altre comunità religiose costano a studente, molto meno di quelle gestite dallo Stato.

E cioè quanto?

Uno studente delle scuole statali costa mediamente allo stato 6 mila euro l’anno; mentre uno studente delle scuole paritarie costa mediamente 500 euro. Lo Stato risparmia, come detto sopra, con queste seconde 6,5 miliardi di euro all’anno a fronte di poco meno di 500.000 euro che destina alle scuole paritarie. Insomma uno studente delle statali costa più di venti volte di uno che frequenta quelle paritarie. E poi vi sono innumerevoli studi di settore che . Si veda tra i più recenti quello scritto da qualificati esponenti de “La Tecnica della Scuola”, che porta una prefazione del Ministro Stefania Giannini, che applicando il criterio dei costi standard chiarisce in modo inequivoco quanto risparmierebbe lo Stato se si decidesse ad imboccare con convinzione questa strada.

Ma le scuole paritarie sono sotto attacco anche per il progetto culturale, che molti identificano con quello religioso. Come si diceva un tempo, sono le scuole dei preti. O no?

No, perché i programmi, il reclutamento del personale e la didattica sono rigorosamente sottoposti a tutte le norme previste per le scuole statali. Vi è certamente, e questo è il motivo per cui vengono preferite dai genitori, una maggiore attenzione all’alunno e al rapporto con la famiglia. No di certo ad una forma surrettizia di indottrinamento religioso, come qualcuno ha sostenuto di recente anche sulla stampa locale. E’ la qualità del servizio che le rende competitive perché è quello che manca a molte scuole statali. Non è solo perché non si fanno scioperi, come banalmente si sostiene! Ma certo senza contributi, come ad esempio è stato il Buono Scuola, i costi per le famiglie diventano insostenibili.

Ma l’attacco non viene solo dal pensare comune. C’è stata una recente sentenza del tribunale di Milano, che ha stabilito che i figli di una coppia separata devono frequentare la scuola statale e non una paritaria come chiesto dalla madre. Il giudice scrive che "non si possa affatto dire che la scuola privata risponda al preminente interesse del minore, poiché vorrebbe dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche".

Si, conosco la vicenda. Tralascio il sentimento che ho provato nel leggerla. Mi limito ai fatti. Anche il giudice fa confusione se dice che solamente la scuola statale è una istituzione “pubblica” a differenza di quella paritaria. Ho già detto prima del cambiamento introdotto in Italia con la legge 62/2000, che a chiare lettere attribuisce anche alla scuola paritaria il carattere pubblico e di servizio pubblico. Ma mi spiace dover rilevare che anche un giudice ritenga che la scuola cattolica, in quanto appunto cattolica, sia una scuola di orientamento, cioè di indottrinamento, dimenticando il ruolo e il rispetto dovuto alla coscienza degli alunni e alla libertà di scelta educativa dei genitori. Ma ciò che più mi ha sorpreso è il ritorno ad una vecchia diatriba sulla C. d. pretesa di neutralità della scuola pubblica. L’istruzione è per se stessa educativa o diseducativa a seconda del quadro di valori o disvalori di riferimento e dei metodi utilizzati, in qualunque contesto avvenga.

Se dunque la battaglia è in corso, quali saranno le prossime tappe?

Abbiamo avviato una raccolta di firme su una petizione popolare, volta soprattutto ad ottenere il rifinanziamento del Buono Scuola in Sicilia. Quelle finora pervenute a Palermo sono 10.000. A queste andranno aggiunte quelle che ancora si trovano in altre province. La prossima settimana provvederemo ad una consegna formale agli organi politici regionali, Ars e Presidente della Regione, perché si rendano conto di quanto il tema sia effettivamente sentito tra la gente.

E poi?

E poi c’è il lavoro quotidiano di cui ho già detto: aiutare tutti a comprendere che non ci sono due scuole in Italia, ma che la scuola è una e andrà meglio se lo Stato, innanzitutto nel suo interesse, le sosterrà entrambe con convinzione. Citò l’ultimo dato. L’Italia è all’ultimo posto in Ue per percentuale di spesa pubblica destinata all’educazione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Lo ha detto l’Eurostat mettendo in evidenza come il nostro Paese si confermi all’ultimo posto in Europa per investimento in istruzione. La percentuale di spesa per educazione è scesa di 0,1 punti rispetto al 2013. Un Paese che non investe in istruzione, non crede sui giovani e sul loro futuro. Questo è il vero dramma dell’educazione in Italia.

 

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