Tornando a Brancaccio dopo la visita del Papa. Conversazione con Giulia Bongiorno

L’appuntamento con Maurizio Artale, Presidente del Centro Padre Nostro di Brancaccio, è fissato alla casa museo Beato Pino Puglisi, l’abitazione dove il parroco abitò per tanti anni e a varie riprese, prima con i genitori e per ultimo da solo fino alla sua uccisione. La proposta è quella di raccontare “il dopo Papa”, dopo la gioia del momento, dopo le foto, dopo i ringraziamenti, quando tutto è tornato come prima, proprio per sapere se tutto è tornato come prima o se qualcosa è cambiato.

Giungo in anticipo e trovo nella piazzetta, che adesso è intitolata a lui, un silenzio quasi irreale. Certo è mattina, i bambini sono a scuola, le massaie a fare la spesa, i mariti a lavorare, soprattutto non ci sono più macchine parcheggiate a dismisura: “Un segno di riguardo – ha spiegato tante volte Maurizio – che non è stato facile far accettare agli abitanti dei numeri civici che insistono sulla piazza”; tuttavia c’è un silenzio che sa di rispetto per un luogo in qualche modo sacro, perché lì appena 25 anni prima è stato ucciso un uomo giusto. Anche l’aiuola attorno alla statua del Beato è curata, anche se qualche cartaccia fuori posto c’è sempre.

Busso al citofono con timore e tremore. I miei piedi sono a pochi centimetri dal medaglione in bronzo installato nel punto in cui fu ucciso don Pino. Poggiano certamente sulle mattonelle che lui calpestò per l’ultima volta quel tragico 15 settembre del 1993. Mi sento indegno di mettere lì i piedi. Una voce gentile e giovanile mi invita a salire. Anche attraversare quelle scale mi provoca turbamento. Alle pareti ci son già foto e manifesti che aiutano a comprendere che non mi avvicino ad una casa museo come tante altre, di un eroe del risorgimento o di uno musicista famoso. So di trovare mobili e oggetti, ma non come quelli dei musei etnografici; sono appartenuti non ad anonimi e lontani antenati, ma a un condomino del palazzo, che fino a qualche anno fa lì abitava e viveva, uno di loro ucciso proprio lì quasi davanti a loro.

Mi dà il benvenuto Giulia Bongiorno, cordiale e serena come l’invito che mi ha rivolto al citofono. È una giovane studentessa che ha deciso di fare in quel luogo il servizio civile. La risposta mi incuriosisce e ne chiedo il motivo, soprattutto quali sono i suoi legami con quel quartiere e con quella storia. “Non abito in zona, non conoscevo il Centro Padre Nostro, ci sono finita per caso. Ma nulla è per caso, neppure trovare un luogo dove fare il servizio civile. Tra i tanti enti che avevo valutato, questo è stato quello che mi ha colpito di più. Nonostante conoscessi la figura di Padre Puglisi solo superficialmente, quando sono venuta a visitare la casa museo ho sentito una sorta di richiamo e quindi non ho avuto dubbi a presentare la mia domanda al Centro. La Casa museo è solo uno dei tanti servizi a cui vengo assegnata. È evidente per me che don Pino mi aspettava e ora che sono qui non voglio più andare via. Cercherò di rimanervi anche dopo la fine del servizio civile”.

Tenta con gentilezza di iniziare la spiegazione delle stanze e delle foto. La fermo. “Sono un giornalista - replico -. So già tutto”. Sorride sorniona e mi invita ad attendere Maurizio che è in arrivo. Le chiedo quasi all’improvviso: “Dove eri il 15 settembre?” Torna a sorridere quasi attendesse la domanda e con garbo risponde: “Giù, dietro le transenne, insieme a tutti gli altri”. È noto, infatti che il Papa è stato accompagnato su solo dall’Arcivescovo Corrado Lorefice. Cosa sia accaduto in quei pochi minuti non è dato sapere, però per soddisfare la mia curiosità mi porta a leggere il registro dei visitatori, ove papa Francesco ha scritto: “Che l’esempio di don Pino faccia nascere tante vocazioni”. Mi fermo a riflettere: perché il Papa in un frangente simile non ha fatto riferimento al martirio, alla testimonianza, ai giovani, cioè a tutte quelle cose cui penso io quando penso a Puglisi? Il suo pensiero è andato alle vocazioni. Forse vuol farci capire quanto sia importante avere sacerdoti come don Pino?

Intanto Giulia continua a raccontare le emozioni di quel giorno, innanzitutto l’attesa. “Ci siamo preparati per giorni, per settimane. Abbiamo aspettato per ore, per un avvenimento che sapevamo sarebbe durato pochi minuti. Ma sapevamo tutti che non attendavamo il passaggio del Giro d’Italia, ma il Papa che veniva a casa nostra, sotto le nostre finestre, nelle nostre strade. Ricordo i lenzuoli ai balconi, come mai avevo visto prima, il sorriso della gente, per nulla offuscato dal sole cocente, il sorriso del Papa che sembrava volerci dire: ‘Continuate, non fate morire la speranza, don Pino vi assiste dall’alto’”. E dopo? chiedo ancora. “Dopo, una gran quantità di gente è voluta salire su a visitare la casa. Gli spazi sono ristretti, bisogna salire a gruppetti, ma alcuni hanno atteso ore pur di vedere i libri, la scrivania, il letto del nostro Beato Puglisi”. Chiedo allora chi sono quelli che vengono, come si possono classificare. “È difficile distinguere le categorie dei visitatori – replica -. I visitatori vengono da varie parti d’Italia, possono essere pellegrini, gruppi parrocchiali, scolaresche, o semplicemente persone curiose che decidono di salire e di visitare queste stanze per conoscere meglio la figura di Padre Puglisi o anche persone che magari lo hanno conosciuto. Quasi tutti i visitatori restano molto emozionati e coinvolti al termine della visita della Casa”.

E poi? Aggiungo. “Ascoltano molto le testimonianze che abbiamo raccolto in alcuni video e fanno molte domande, ma mai banali”. E tu che fai? “Io all’inizio forse recitavo quello che avevo imparato a memoria, ma adesso anche se riporto le stesse frasi è come se le pronunciassi per la prima volta. Quando parlo di Padre Puglisi ai visitatori mi piace parlarne in modo diretto e senza tralasciare nulla, dal suo essere semplice sacerdote al suo impegno sociale, al suo rapporto con i bambini. Cerco di immedesimarmi in chi ho davanti in quel momento e soprattutto cerco di esprimere che cosa io sento in quel momento. Per questo ogni giorno è diverso ed è come se fosse la prima volta”.

Il silenzio del luogo, la serenità di Giulia mi inducono a qualche domanda più impegnativa. Le chiedo: “Puglisi è stato proclamato beato in odium fidei? Che significa per te questa frase e quando te lo chiedono cosa rispondi?” La sua risposta è serena e chiara: “Padre Puglisi – dice - è stato ucciso per mano mafiosa. Nonostante sapesse il pericolo che correva, nonostante avesse ricevuto minacce, non ha mai ceduto o non si è mai tirato indietro. È morto martire facendo semplicemente il sacerdote. Lui lo diceva sempre: ‘Basta che ognuno fa qualcosa’, basta che ognuno fa il proprio dovere, solo così si può cambiare qualcosa”.

Proseguo: “Tu sei nata quando Puglisi era già stato ucciso. Che cosa significa la sua persona in questo momento della tua vita per quello che stai facendo (studio, affettività, giovinezza, amicizia)?”. “La sua persona mi ispira ogni giorno – risponde -. Ho deciso pure di intraprendere e di approfondire lo studio della teologia alla scuola di teologia di base. Nei momenti difficili o di confusione penso a lui o comunque alla forza che lui ha avuto fino alla fine”.

Bussano al citofono. La scolaresca attesa è arrivata. Giulia deve tornare al suo impegno prioritario. C’è solo tempo per chiederle: “Il Papa è andato via e sono già passati molti giorni: che cosa vi ha lasciato sia come ricordo che come impegni da assumere?” “Sicuramente un bel ricordo - aggiunge -, avere il Papa a Brancaccio è stato un grande segno per tutti soprattutto per la gente del quartiere. Il mio impegno è sempre lo stesso sia prima del Suo arrivo che dopo. Io lavoro e continuo il mio volontariato per padre Puglisi e per portare avanti il suo sogno”.

La pubblicazione dell’intervista a Maurizio Artale avverrà domani.

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