“Ho cercato di esprimere nella mostra sulle icone per cosa vale la pena vivere”. Così Giovanni Caronia dopo l’esperienza della mostra “L'oro dell’anima”

 

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Si è chiusa dopo quasi un mese la mostra personale dell’iconografo Giovanni Caronia “L'oro dell’anima” che è stata esposta nella suggestiva Cripta di San Giorgio dei Genovesi, sede dell’UCAI a Palermo.

Lo raggiungiamo mentre ripone negli scatoli la sua nutrita collezione di pitture su tavola, che si rifanno all'arte della iconografia russa, e di pitture su vetro, legate alla tradizione religiosa della nostra terra siciliana. Gli chiediamo innanzitutto di trarre un giudizio dell’esperienza fatta.

“Devo premettere – dice subito – che non è la prima volta che espongo le mie opere, perché sono ormai molti anni che coltivo questa attività artistica, che è molto più che un hobby. Questa volta però è stata una esperienza diversa perché è nata da una concomitanza di circostanze. L’ultima e quella forse quella decisiva si è verificata il 27 dicembre scorso quando in questo luogo abbiamo presentato insieme al Centro Culturale “Il Sentiero” il tradizionale Calendario di Russia Cristiana. Nell’occasione ho conosciuto la Presidente dell’UCAI Silvia Reys che mi ha offerto la possibilità di utilizzare la sede in cui ci troviamo, un luogo molto significativo e suggestivo, per esporre i miei dipinti. Altra sollecitazione mi è giunta da alcuni amici che conoscono le mie opere e che mi sollecitano sempre a non tenerle conservate a casa”.

In effetti Giovanni Caronia mentre parla è molto impegnato a riporre accuratamente ogni icona nel modo migliore, quasi si trattasse di persone fisiche, perché ad esse è affezionato come se fossero le sue figlie.

“Ma ciò che muove ogni artista, - prosegue - grande o meno grande, famoso o meno famoso, è il desiderio di comunicare a tutti quello che ha inteso esprimere con la propria rappresentazione artistica. E così è stato anche in questa circostanza e la quantità e qualità di incontri che ci sono stati in questo mese lo dimostrano”.

E così è: basta solo sfogliare il registro dei visitatori e si coglie subito l’interesse che essa ha riscosso sia tra quanti sono conoscitori e appassionati dell’arte iconografica, sia per coloro che, giunti magari in modo casuale, sono rimasti favorevolmente impressionati da quanto ogni icona può dire.

“In questi anni questo lavoro è divenuto per me quasi una vocazione – spiega -. Come mi ha detto a conclusione della visita un amico che mi conosce bene: questo è il mio modo di vivere la Chiesa in uscita di Papa Francesco. Forse è un giudizio troppo lusinghiero, ma certamente coglie il mio desiderio di vivere e interpretare l’esperienza cristiana nella mia vita ed oggi, cioè nel contesto storico e sociale in cui vivo. Sono grato per tutti gli incontri avuti in questo mese. La gente è rimasta colpita certamente non dalla mia persona, ma da quello che attraverso me e le mie icone sono riuscito ad esprimere. Potrei dire di essere in parte riuscito a mostrare un soggetto che opera, cioè io che parlo e mi esprimo attraverso la mia opera, cioè le icone, che rimandano sempre ad un Altro ed ad un’altra opera”.

Caronia ha concluso di riporre le icone, tocca adesso alle pitture su vetro tornare a casa. La cura è forse maggiore vista la loro fragilità. Gli chiediamo di spiegare la differenza tra le due forme artistiche. “Molti hanno pensato - risponde prontamente - vista anche la disposizione in due sale diverse, che si trattasse solamente di due forme artistiche. Infatti, dopo aver spiegato che l’icona per essere tale deve soggiacere ad alcuni canoni rigidi, scritti e tramandati dalla Chiesa, addirittura in alcuni Concili, le opere in vetro sembra che possano esprimere una sorta di libertà artistica che l’icona nega. Ed invece non è così, perché ciò che conta è l’origine dell’opera, da dove nasce e cosa vuole esprimere. È sempre il tentativo di rendere la fede concreta ed espressione della vita che mi muove. La verifica l’ho fatta quando alla conclusione della visita la gente comprendeva che sono sempre io che dipingo o scrivo, anche se la forma finale si chiama icona o opera su vetro.

Tocca ora inscatolare il materiale che serve per fare le icone: tavolette, vetri, pitture, smalti, pennelli, ecc. In questo mese Caronia ha fatto vedere come nasce, cresce e si sviluppa una icona. Una sorta di piccolo laboratorio è stato posto in un angolo e attorno ad esso soprattutto i giovani sono rimasti a lungo a guardare, cose che in genere non si vedono neppure in televisione.

“L’icona – riprende nella sua narrazione - è definita da chi la guarda. Se ti appare triste è perché tu sei in quel momento triste; se ti sorride è perché tu in quel momento vivi positivamente la vita. Non a caso si dice che l’icona deve essere ‘meditabonda’, cioè deve indurre alla riflessione e alla meditazione. Nei corsi che ho fatto più volte è stato ripetuto che l’icona deve raccontare un avvenimento; l’icona non si dipinge ma si scrive, e quindi si legge. E l’avvenimento non è quanto materialmente descritto ma quanto la descrizione suscita in chi la guarda”.

All’ingresso della mostra è stato distribuito un foglietto con alcune belle citazioni sulla bellezza. Chiediamo a Caronia, per concludere, in quale si ritrova di più. “Senza dubbio – dice - nella Lettera che San Giovanni Paolo II nel 1999 scrisse agli artisti. Lì è detto che l’icona non è venerata per sé stessa, ma perché rinvia al soggetto che rappresenta la vera Bellezza, ciò per cui vale la pena vivere. Io ho cercato di dire attraverso l’arte per cosa vale la pena vivere per me”.

 

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