Un doodle per Hannah Arendt: due insegnamenti e un anniversario

 

Il doodle di oggi è dedicato ad Hannah Arendt. Google ricorda così una straordinaria intelligenza del Novecento e riprende un anniversario nemmeno tanto tondo, in quanto si fa memoria dei 108 anni trascorsi dalla sua nascita avvenuta il 14 ottobre 1906 ad Hannover. Ma ci sono sempre ottime ragioni per mettersi di fronte a questa filosofa e ai concetti espressi nelle sue opere. E non mancano motivi per sentirsi coinvolti dentro questa ricorrenza portata a dimensione planetaria dal motore di ricerca di Mountain View.

Hannah Arendt vive in pieno il secondo conflitto mondiale dello scorso secolo e subisce in prima persona le conseguenze dell’Olocausto perché ebrea di nascita: nata in Germania, si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti all’esplodere della violenza nazista.

Le sue opere sono rimaste nel tempo per la capacità che esse hanno nell’avviare riflessioni e teorie sulle dinamiche personali e pubbliche con cui si formano la conoscenza e le società politiche. Il concetto di amore in Agostino, di cui è tra le maggiori interpreti, Vita activa, Le origini del totalitarismo, La banalità del male sono da annoverare quali veri e propri classici del pensiero. Vi è centrale l’approfondimento delle linee filosofiche della modernità nel loro diventare pagina contemporanea attraverso la ragione dei singoli e la forza del potere. E, colto tra mille altri, si rinviene qui un primo fondamentale insegnamento che il suo pensiero contiene e porta nel terzo millennio, conservandone intatte l’attualità e il valore.

Filosofia e politica entrano nella vita quotidiana come idee e contenuti che tendono a diventare fattori e parti della realtà. E ciò vale nel bene e nel male. Il presente non è senza significati da scoprire e senza premesse da verificare. Arendt a suo modo ci dice che per liberarsi dalla storia, cioè nel senso di non subirla passivamente, occorre conoscerla; c’è la grammatica della filosofia della storia hegeliana in questo giudizio. Ma quella di Hannah Arendt non è filosofia che della conoscenza assume qua e là spunti per farne occasioni di ragionamento freddo. La conoscenza è interazione tra umanità e mondo che nasce dallo stupore. A Karl Jaspers, con il quale si era laureata a Heidelberg, nel 1965 Arendt scrive così: «Essere fedeli alla realtà delle cose, nel bene e nel male, implica un integrale amore per la verità e una totale gratitudine per il fatto stesso di essere nati». Ecco perché per lei l’ideologia è chiusura all’esperienza della libertà e alla possibilità di un nuovo inizio, come molte volte chiarisce puntando il discorso verso i totalitarismi del suo tempo.

Qui è la via che conduce a un secondo insegnamento, anch’esso declinato in questa sede nella fattispecie della sintesi. Si tratta di un insegnamento che entra nel merito dell’esperienza di persone libere e ragionevoli, proprio perché riguarda l’io e la possibilità di un nuovo inizio. Ogni uomo è, per sua stessa natura, un nuovo inizio e porta nel mondo un’irriducibile dignità e unicità. Ma il nuovo inizio è un bene che messo in comune produce frutti maggiori. Come è noto, il pluralismo e la libertà sono due aspetti centrali del suo pensiero. Ed è bene tenerli a mente, perché sono concetti il cui valore resta inalterato negli anni. Il rischio del totalitarismo non è mai superato una volta per tutte e, come la storia insegna, può assumere vesti diverse. La libertà è, allora, un bene che ogni generazione è chiamata a riscoprire e meritare.

Questi e altri insegnamenti ci sono nel pensiero politico di Hannah Arendt. Ricordarla a 108 anni dalla nascita è un momento utile ancora e ovunque.

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per offrire servizi in linea con le tue preferenze. Se non accetti le funzionalità del sito risulteranno limitate. Se vuoi saperne di più sui cookie leggi la nostra Cookie Policy.