“Buttanissima Sicilia” di Pietrangelo Buttafuoco: l’autonomia tra potere e polemiche


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Pietrangelo Buttafuoco, Buttanissima Sicilia. Dall'autonomia a Crocetta, tutta una rovina, Bompiani, 2014


 

Dio salvi i polemisti. I loro strali insidiano le coscienze intorpidite dal conformismo, le veemenze delle loro parole nemiche del politically correct infrangono i luoghi comuni, la loro indignazione scuote l’acquiescenza ai malesseri civili. Ben vengano dunque i polemisti: se spiriti liberi accendono e vivificano il dibattito che spesso rischia di ristagnare tra sottili distinguo, eufemismi di rito, apparenti contrapposizioni.

Pietrangelo Buttafuoco è un polemista, un po’ istrione e abbastanza eccentrico, sicilianissimo nella sua istrionesca eccentricità. Il suo Buttanissima Sicilia (Bompiani, 206 pagine), che in questi giorni sta spopolando le librerie, è un libello velenosissimo sui malcostumi dell’isola. Tanti sostengono, anzi, che sia, a partire dal titolo, un libro contro la Sicilia e i siciliani. Ma è una critica superficiale e ingenerosa. In realtà Buttafuoco, come tutti i siciliani che amano la propria terra, si duole nel vederla offesa da cattive amministrazioni e da vizi antichi: da lì la sua protesta, aspra ed estrema.

Il libro di Buttafuoco è innanzitutto un j’accuse dell’autonomia speciale della Regione Siciliana, “frutto dell’unica e vera trattativa Stato-mafia”. Buttafuoco risale alle origini dell’autonomia, alla presenza nell’isola di movimenti indipendentisti e separatisti (alcuni di questi effettivamente legati alla mafia) che spinsero lo Stato ad accordarle uno Statuto specialissimo. Le tante prerogative previste nello Statuto sono diventate dei privilegi di una classe politica famelica. Vi è tanto di vero nella denuncia di Buttafuoco, che però dovrebbe rinviare in chi legge a uno studio attento e privo di pregiudizi sulle ragioni e sugli sviluppi dell’autonomia siciliana.

Buttafuoco pone l’allarme su un tema attualissimo e sconcertante, che condensa in una formula: “La mafia dell’antimafia”. La questione, come è noto, fu sollevata in tempi non più vicini da Leonardo Sciascia, che rivelò il fenomeno dei “professionisti dell’antimafia”. Allora la posizione di Sciascia, che proprio coi suoi romanzi, tra i primissimi, descrisse il potere mafioso, destò molte polemiche. Eppure l’intuizione di Sciascia, fonte di ingiustificabili e rozzi attacchi personali, presagì un malcostume che col tempo si sarebbe dilagato: il professarsi antimafioso per munirsi di una corazza protettiva che garantisce immunità da illiceità e cattive gestioni del potere.

Buttafuoco, inoltre, si scaglia contro i due ultimi governatori della Regione, fornendo di essi dei ritratti molto caricaturali. È curiosa però, e contraddittoria, la simpatia che l’autore mostra in chi li ha preceduti, come se prima di loro la Sicilia fosse stata amministrata con oculatezza e senza sperperi.

Assai discutibile è poi la ricostruzione di Buttafuoco delle fortune de Il Gattopardo, un libro, a suo dire, di destra di cui la sinistra si sarebbe impadronito attraverso varie operazioni, tra le quali la versione cinematografica di Visconti. Come se la cultura e un capolavoro di tal fatta possano essere etichettati con formule in tal caso del tutto inappropriate.

Ma Buttafuoco è un polemista, e Dio salvi i polemisti. Buttanissima Sicilia è una coraggiosa denuncia contro le storture del potere in Sicilia, un grido di allarme affinché gli interessi di pochi non continuino a prevalere su quelli della collettività, per quanto le sue analisi, appena enunciate, richiederebbero una disamina più articolata. 

 

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