Palermo. Rapsodia di arte nei secoli/3


cripta cattedrale-palermoPalermo. Rapsodia di arte nei secoli. Pubblichiamo il terzo di una serie di articoli attraverso cui sono illustrati itinerari e descritte opere della storia e dell'arte di Palermo. In questo contributo sono messe a tema l'origine storica e la dimensione artistica della cripta della cattedrale. Nei successivi articoli saranno approfonditi altri aspetti della storia artistica e architettonica palermitana. Ogni argomento è trattato in modo tale da contestualizzare il profilo culturale delle opere nell'ambito della dimensione viva della città. Gli articoli sono a firma di Rita Martorana Tusa e sono anche il frutto della sua collaborazione al Centro Culturale “Il Sentiero” di Palermo (www.ilsentieropa.it).

Ringraziamo entrambi.– Sicily Present


 

 

Rita Martorana_Tusa(23 novembre 2012) – La Cripta della Cattedrale: alle origini della presenza cristiana a Palermo. Le storie dei santi patroni di Palermo, le cui statue circondano il piano della cattedrale, ci hanno riportato alle origini della presenza cristiana nella città. Della presenza della prima comunità cristiana rimangono tracce esigue, ma è comunque possibile ritrovarle in alcuni luoghi particolarmente significativi e suggestivi della città. La cripta della Cattedrale corrisponde al luogo che era denominato “cimitero di tutti i santi”; lì si riunivano i primi cristiani e il vescovo Mamiliano vi celebrava la messa e battezzava (tra i suoi convertititi la patrona santa Ninfa).

Dopo la visione della Cattedrale chiara e luminosa nel suo biancore neoclassico quale appare dopo il rifacimento di Ferdinando Fuga, la discesa nella penombra della cripta è veramente una discesa a ritroso nei secoli passati. La struttura della cripta dovrebbe risalire alla basilica bizantina del VI secolo, ma fu certamente ricostruita durante il rifacimento della cattedrale normanna e vi furono collocate le tombe degli arcivescovi palermitani. Oggi ci appare con l’aspetto che le diedero i restauri del 1848, quando furono consolidate le strutture, disposte in maniera ordinata le tombe, e collocato l’altare realizzato riutilizzando i marmi del trono arcivescovile. La possiamo vedere documentata in un “disegno dal vero della Cripta” di Giuseppe Di Giovanni, che ci mostra un visitatore solitario intento a meditare sulle vestigia del passato, in una atmosfera sepolcrale di matrice romantica.

Non si tratta in realtà di una “cripta” come viene realizzata nelle cattedrali romaniche, perché mentre quelle si estendono al di sotto del presbiterio, questa si sviluppa al di là delle absidi, di cui segue la curvatura. L’elemento più interessante sono i sarcofagi in cui sono custodite le spoglie dei vescovi palermitani. Si tratta di ventitré sarcofagi, di cui undici sono stati sempre nella cripta, mentre gli altri, che originariamente si trovavano in chiesa, vi furono spostati dopo i rifacimenti del 1781. La maggior parte sono sarcofagi ellenistici o romani riutilizzati e riscalpellati, mentre solo pochi risalgono al Medioevo, anche se di molti è stato rifatto il coperchio per adattarlo ai personaggi che custodiscono.

Vi sono tutti i principali pastori della chiesa palermitana: il vescovo Nicodemo, a cui i normanni consegnarono la cattedrale restituita al culto cristiano dopo la dominazione araba; Gualtiero Offamilio, che la fece ricostruire dandole la struttura attuale; il cardinale Giannettino Doria, che proclamò santa Rosalia patrona di Palermo; l’arcivescovo Cesare Marullo che fece costruire il seminario di Palermo.

Gli elementi di maggior interesse per il visitatore attuale sono i sarcofagi classici sopravvissuti per secoli all’interno della cripta, in cui si dispiega il repertorio funebre del mondo pagano. Mentre molte testimonianze dei primi secoli del cristianesimo esprimono la volontà di porsi con una radicale diversità rispetto al mondo romano, la presenza dei sarcofagi romani riutilizzati per sepolture cristiane dimostra un atteggiamento diverso. Chi si convertiva infatti era romano sino al midollo, e portava con sé la sua “romanità”, compreso il repertorio figurativo tradizionale. Geni alati e altre figure mitologiche vengono utilizzate ma riferendole ai contenuti della nuova religione. D’altronde la presenza di scene mitologiche e di temi classici documenta la capacità dei cristiani di accogliere e rivitalizzare anche la cultura classica, raccogliendone l’eredità.

Le comunità cristiane infatti in tutto l’impero romano nascevano e si diffondevano inserite in una pluralità di popoli, di culture, di sistemi religiosi diversi, i cui elementi spesso si fondevano in un complesso sincretismo di riti e di credenze, ma ogni comunità cristiana, per quanto piccola, si percepiva parte e in funzione della Chiesa totale. Nasceva un nuovo popolo di Dio, non più definito dal carattere etnico, ma dalla appartenenza a Cristo, vissuta nella fede e fondata nel Battesimo. Tra i sarcofagi romani riutilizzati uno dei più interessanti e di pregevole fattura rappresenta una scena di grande valore allegorico nel mondo classico: un poeta, riconoscibile dalla toga e dal papiro che tiene in mano, che viene esaltato dalle Muse, ciascuna con l’attributo che la caratterizza, simbolo dell’ispirazione poetica e richiamo visivo dell’invocazione alle Muse tipica della poesia classica.

Di origine classica anche la tomba dell’Arcivescovo Giovanni Paternò, morto nel 1511. Al centro del sarcofago due geni alati reggono uno scudo riscalpellato su cui è stato inciso lo stemma della famiglia, mentre ai lati vi sono scene di libagioni funebri; sul coperchio la splendida figura giacente del vescovo, scolpita da Antonello Gagini. Infine, vogliamo ricordare l’urna tardo romana del Cardinale Nicolò Tedeschi, morto nel 1445, in cui è rappresentato il rituale di un matrimonio con al centro la sacerdotessa e gli sposi, e lateralmente altri personaggi con diversi oggetti e figure di uccelli, che probabilmente alludono agli àuguri che ne interpretavano il volo per trarne auspici sulle azioni da intraprendere.

Il confronto tra le rappresentazioni dei sarcofagi documenta in maniera emblematica anche la formazione di un’iconografia cristiana, e il modo in cui elementi classici vengono trasformati attribuendovi un significato simbolico cristiano. Il sarcofago dell’arcivescovo Nicodemo inserisce in un clipeo la figura dell’agnello mistico, quello di Federico d’Antiochia un Cristo benedicente fra l’Angelo annunziante e la Vergine. L’urna del cardinale Pietro Tagliavia d’Aragona (morto nel 1558) mostra i dodici apostoli, rappresentati come dei senatori romani con toga e sandali – ma con le aureole sul capo – con le mani alzate verso una croce sovrastata da una corona di alloro dov’era il monogramma di Cristo. La rappresentazione del trionfo della croce si declina attraverso i gesti e le allegorie del mondo romano.

Il riuso del monumento classico è evidente nel sarcofago di un senatore o commediografo romano, adattato per l’arcivescovo Ugone, morto nel 1150. Vi sono scolpiti due geni alati che sostengono un clipeo con un mezzo busto togato: in origine il proprietario della sepoltura, oggi è diventato un Cristo benedicente, al di sotto del quale il repertorio figurativo pagano è rimasto identico. A sinistra la dea Cerere con la cornucopia, a destra il dio Tevere con un pesce e un arbusto, al centro due grandi maschere teatrali forse allegoria della commedia e della tragedia.

 





LUOGHI & STORIE - Palermo. Rapsodia di arte nei secoli/3. Le immagini illustrano alcuni scorci della cripta della cattedrale di Palermo. Le foto sono di Antonino Balsamo.– Sicily Present


 

 

 

 

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