Tutto può cambiare, anche in Sicilia!

 

Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu.

Non aspettare che la società lo faccia, inizia tu!

(Francesco, 15 settembre 2018, Palermo)

 

La visita di papa Francesco in Sicilia si è appena conclusa. Il clima di festa e di gioia che ha caratterizzato l’evento deve, adesso, lasciare lo spazio opportuno alla capacità di riflessione e discernimento del messaggio che il vescovo di Roma ha pronunciato per i siciliani. Infatti, le comunità ecclesiali di Sicilia, e in particolare quelle presenti a Piazza Armerina e a Palermo, sono invitate a ragionare sulle parole del pontefice al fine di rivedere e rilanciare lo specifico stile di presenza cristiana dell’isola. Così, il bicentenario di fondazione della diocesi piazzese e il venticinquesimo dall’uccisione di don Pino Puglisi sono divenute delle ricorrenze che, alla luce della presenza e del messaggio di Francesco, possono aprire sentieri tanto di nuova evangelizzazione in terra siciliana quanto di rinnovata fedeltà all’evangelo per coloro che, da credenti, vivono in questa regione ricca di molteplici positività e martoriata da altrettante negatività.

Da quanto emerge dai discorsi del Papa, possiamo registrare alcune specificità fondamentali della testimonianza cristiana nel mondo. Difatti, per Bergoglio, i cristiani sono chiamati ad interpretare la vita come un’intera liturgia non staccata dal rito ma radicata nel mondo attraverso l’impegno concreto anche, e soprattutto, per le “piccole cose” della quotidianità. Si tratta di un modo di concepire l’esistenza teso a recuperare e a ricollocare al centro della storia la prossimità fatta di ascolto, di relazione e di comprensione. Come modello per una vita cristiana contraddistinta dalla prossimità, il pontefice rilancia la figura di don Puglisi che, senza grandi mezzi e privo di proclami, restava con le persone del quartiere e della parrocchia di Brancaccio per ascoltarle e seguirle nel loro cammino.

Secondo Francesco, agire da cristiani nella storia prevede in prima istanza una conoscenza reale del contesto. Infatti, nel discorso a Piazza Armerina, il pontefice ha ricordato le diverse ferite che colpiscono il Sud Italia con queste parole: «Non sono poche le piaghe che vi affliggono. Esse hanno un nome: sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiari». Tali difficoltà vanno legate ad una certa cultura vincente agli occhi del mondo che pone al centro il proprio tornaconto economico e politico. Per il Papa, si tratta di una vera e propria anestesia che prima porta a preoccuparsi esclusivamente dei propri interessi salvo poi lasciare dentro di sé il vuoto e la solitudine.

Se vivere con la speranza credente in un contesto umano e sociale carico di problematiche non è facile, è anche vero – a parere del vescovo di Roma – che il messaggio cristiano, inteso come prossimità fra gli uomini di questo tempo, può ribaltare la realtà. Il cambiamento, infatti, inizia tramite il proprio impegno verso gli altri. Nell’omelia della celebrazione in memoria del beato Pino Puglisi, Francesco esprime tale concetto senza mediazione alcuna: «Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu. Non aspettare che la società lo faccia, inizia tu! Non pensare a te stesso, non fuggire dalla tua responsabilità, scegli l’amore! Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo». Allora, bisogna intendere la vita cristiana come un processo dinamico di continua ricerca che a partire dalla parola di Dio genera un perenne progresso. Così, ogni visione statica, egoistica e comoda della vita viene tranciata per lasciare spazio al cammino, all’impegno, al sacrificio, alla relazione, alla speranza. Parole e valori che in terra siciliana invitano le diverse generazioni ad un’opera volta alla costruzione di un futuro carico di positività. Difatti, nell’incontro con i giovani a Palermo in Piazza Politeama, il pontefice invita ad essere protagonisti della storia: «Mettiti in gioco! Hai paura di fare qualche figuraccia? Falla, pazienza. Tutti ne abbiamo fatte tante, tante. Perdere la faccia non è il dramma della vita. Il dramma della vita invece è non metterci la faccia: quello è il dramma! è non donare la vita! Meglio cavalcare i sogni belli con qualche figuraccia che diventare pensionati del quieto vivere – pancioni, lì, comodi –. Meglio buoni idealisti che pigri realisti: meglio essere Don Chisciotte che Sancho Panza!».

A sostegno dell’opera tesa allo sviluppo umano, sociale ed economico della Sicilia c’è, secondo Bergoglio, una peculiarità culturale del nostro popolo che lungo i secoli passati ha dato prova delle sue capacità di accoglienza, d’integrazione e di incontro fra le diversità etniche e religiose. Come Francesco ricorda ai giovani, si tratta di una cultura della solidarietà che, mossa da una visione cristiana, ha messo al centro sia la tutela della dignità umana sia il riconoscimento della diversità come ricchezza: «Non si tratta solo di una bella tradizione culturale, è un messaggio di fede. La vostra vocazione sarà sicuramente essere uomini e donne di incontro. Incontrare e fare incontrare; favorire gli incontri […] voi siete un popolo con un’identità grande e dovete essere aperti a tutti i popoli che, come in altri tempi, vengono da voi. Con quel lavoro dell’integrazione, dell’accoglienza, di rispettare la dignità degli altri, della solidarietà».

La proposta di vita cristiana avanzata dal pontefice in Sicilia chiama gli uomini e le donne della nostra terra a vivere relazioni libere e liberanti in grado di concepire tanto la crescita e la realizzazione dei singoli quanto lo sviluppo della comunità incessantemente votata alla ricerca del bene comune. Se il cristianesimo propone questo modello culturale, sociale e politico attraverso la sequela a Cristo confermata dal martirio di don Pino Puglisi, non può esserci nessuna forma di compatibilità con l’organizzazione mafiosa presente nell’isola. Così, la mafia – partorita dalla sottocultura della vendetta, dell’orgoglio, dell’egoismo e della ricerca spasmodica del potere economico – si trova all’opposto della cultura dell’impegno per gli altri, della solidarietà e del bene comune promossa dal Vangelo.

Dunque attraverso il martirio di Puglisi, modello a cui Francesco ha reso omaggio, possiamo ricordarci che anche in Sicilia, attraverso la fede vissuta nella storia e nonostante le innumerevoli difficoltà, tutto può cambiare.

 

 

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