Il Centro Culturale Il Sentiero presenta a Palermo “Il nome di Dio è Misericordia”. Ne abbiamo parlato con Rosalia Pipia

 

Domani alle ore 18,30 al Multicenter della libreria Mondadori di Via Ruggero Settimo, 18 a Palermo si svolgerà una conversazione a partire dal libro che raccoglie l’intervista fatta dal giornalista Andrea Tornielli a papa Bergoglio Il nome di Dio è Misericordia. L’iniziativa è promossa dal Centro Culturale Il Sentiero. Abbiamo chiesto a Rosalia Pipia che ne è il presidente le ragioni dell’iniziativa.

Intanto è opportuno ricordare che per oltre due mesi questo libro è stato in cima alle classifiche nelle vendite. Il fatto ci ha incuriosito. Ci siamo chiesti, infatti: perché le persone acquistano un libro sulla Misericordia? Forse dietro la nostra patina di uomini autosufficienti siamo consapevoli di portare delle ferite e desideriamo che qualcuno possa sanarle, anche se non crediamo sempre che questo possa accadere. Papa Francesco sostiene, invece nel libro, che non ci sono situazioni dalle quali non possiamo uscire, che non siamo condannati alle sabbie mobili. Allora, vale la pena affrontare il percorso che ci propone questo libro-intervista, perché tratta del nostro desiderio, del nostro bisogno più vero.

Che cosa l’ha colpita di più nella lettura?

Il modo in cui papa Francesco risponde:non fa una lezione sulla misericordia, ma con il suo stile, che ci è ormai familiare, che non si lascia imbrigliare certo in un’intervista, restituisce verità alle domande comunicando la sua esperienza di misericordia. Si percepisce poi l’urgenza che avverte di comunicare cose di cui il mondo oggi ha grande bisogno e desiderio «sì, io credo che questo sia il tempo della misericordia», dice infatti.

Che cosa rimane alla fine della lettura?

Alla fine del libro ho avvertito un senso di gratitudine per la tenerezza che il Papa non manca mai di esprimere, per la sua instancabile testimonianza.Per questo abbiamo pensato di offrire una conversazione a partire da questo libro, perché parla di quello che desideriamo tutti: essere abbracciati così come siamo. E’ un gran libro perché si rivolge a tutti e suggerisce un metodo: quello di imparare a fidarsi di Dio.

Avete invitato un teologo e due testimoni. Perché?

C’è una parte del libro in cui il Papa dice che la misericordia è un’esperienza. Ci è sembrato interessante affiancare a Don Lirio Di Marco, che insegna Esegesi del Nuovo Testamento alla Facoltà teologica di Sicilia, che all’inizio dirà della struttura del libro, enucleandone i temi principali, due persone, apparentemente molto diverse: da una parte Salvatore Cuffaro, a tutti noto per le sue vicende politiche e giudiziarie e dall’altra Bekir Bel, un tunisino certamente poco conosciuto dal grande pubblico, che è stato accolto per alcuni anni nella Missione Speranza e Carità di Biagio Conte. Ad entrambi abbiamo chiesto di raccontare la loro storia di misericordia, come cioè la misericordia ricevuta li ha aiutati a riprendere in mano la propria vita.

Non pensa che la misericordia, termine usato e abusato in questi mesi, finisca più col generare un’autogiustificazione, piuttosto che un impegno a cambiare?

A volte può sembrare che la misericordia sia una parola magica, quasi una fuga dal mondo. Invece, è un criterio per entrare nel mondo, però con un approccio diverso. Dalla lettura del libro questo si capisce bene. E anche le testimonianze, siamo certi, aiuteranno in questo impegno che è innanzitutto personale. La misericordia non è buonismo, serve a stare nel mondo in modo diverso. Il peccato ha un risvolto sociale, e così il perdono: peccato e perdono sono in un certo senso anche un fatto politico, anche internazionale. E questo nel libro è ben descritto.

In che senso?

Non è un caso che papa Francesco citi Giovanni Paolo II che nel 2002, dopo l’11 settembre, in un momento per certi versi terribilmente simile al presente, quando disse: «Non c’è giustizia senza perdono». Il perdono è l’apice possibile della giustizia, e questo risvolto sociale sta nel fatto che chi fa esperienza del perdono – sia come oggetto, sia come soggetto – genera conseguenze. Così è per il peccato confessato: cambia l’uomo, e quindi il mondo.

Quindi è una dimensione personale tra l’uomo e Dio?

Certo, per iniziare occorre uno slancio della libertà: il bisogno lo avvertiamo tutti. Ma da questo impulso personale nasce un cambiamento non solo per il singolo, ma anche per il contesto in cui vive.

Può fare un esempio di questa dinamica?

Sabato scorso il Centro Culturale Il Sentiero ha promosso una visita guidata alla bellissima mostra di Ligabue allestita al Palazzo Reale. In tanti siamo rimasti colpiti dai molteplici quadri che ripetono il suo autoritratto. In essi l’artista sembra esprimere l’ossessione bisognosa di trovare il suo vero volto, quasi un’implorazione: chi sono io? Emerge il bisogno di essere abbracciato così com’è. L’incontro con questo artistamuovead una compassione innanzitutto verso noi stessi. Ma questa esigenza è di tutti. Tutti ne abbiamo bisogno per fare un’esperienza della Misericordia.Ecco perché questo tema non è soltanto teologico o filosofico, ma soprattutto di verità della vita.

Per concludere, può dire in breve qual è la mission del vostro Centro Culturale?

Oggi la cultura è ridotta spesso ad intrattenimento, a svago. È stata ridotta la sua portata esperienziale cioè non ha nessi con le domande e i bisogni che toccano la vita. Mentre dovrebbe tendere ad un incessante miglioramento di se. Attraverso questo incontro vogliamo offrire a tutti un'occasione per riflettere non su ciò che uno è ma su quello che uno desidera essere veramente.

 

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