“La moglie del procuratore” di Elena Bono: Claudia Procula e Seneca di fronte alla verità


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Elena Bono,La moglie del procuratore,Marietti 1820, Genova 2015


 

 

La moglie del procuratore di Elena Bono è un racconto lungo, edito per la prima volta nel 1956 all’interno di una raccolta più ampia dal titolo Morte di Adamo. Adesso la casa editrice Marietti lo ha pubblicato come un’opera autonoma anche nell’intento di riportare l’autrice all’attenzione di un pubblico più vasto.

Protagonista è Claudia Procula, la vedova del procuratore Ponzio Pilato, che giunge a Roma invitata da Seneca ma con il vero intento di incontrare Paolo di Tarso. La storia si può distinguere in due parti, la prima mette in scena il convivio in cui viene introdotta la donna appena arrivata nella città eterna ed è quasi la registrazione del dialogo dei convitati che dibattono sulle questioni a cui la filosofia tenta da sempre di dare risposte. Il contrapporsi delle posizioni, l’argomentare serrato mostra la grandezza ma anche i limiti di questo sforzo pienamente umano ma solitario. Si dibatte sulla esistenza degli dei e, se esistono, se “piangono o non piangono insieme a noi”, sul come porsi di fronte alla vita, sulla dignità del suicidio come atto di libertà o ulteriore atto di sopraffazione. Le posizioni di stoici, epicurei e scettici sembrano non trovare risposte soddisfacenti, anzi tolgono alla vita la speranza. Certe parole, come colpa e perdono, sembrano vuote, in attesa di Qualcuno che venga a riempirle di significato. E la verità non si trova, “non ho trovato nulla di cui non possa esser vero anche il contrario” dice uno dei personaggi. Ci si accontenta di verità provvisorie. E di fronte alla questione dei cristiani si dice che “non possono aver inventato niente di nuovo” perché il dolore esiste e non si capisce a cosa serve”. Solo Seneca riesce a intuire che, se esistesse, “forse a un dio non si dovrebbe domandare altro che lui stesso”, ma che un dio possa giungere al sacrificio di sé gli sembra una cosa tanto enorme quanto assurda.

La seconda parte del racconto è occupata dal dialogo notturno fra Seneca e Claudia, è più un monologo della donna che racconta passo passo come la vita sua e del procuratore è stata cambiata da quell’uomo mandato a morte da innocente. I giorni sono stati attraversati dal rimorso di non aver fatto di più per salvarlo, dalla domanda su quell’uomo. La vita del procuratore non ha avuto più pace tanto da finire con il suicidio, nel racconto della Bono, lasciando in eredità alla moglie la domanda: “cos’è la verità?”, quella stessa domanda posta al processo e tutti i suoi giorni senza poter ammettere che la verità è un Uomo, una Presenza, non un’idea.

Per la donna questa domanda diventa “chi era il Galileo?”. Quello di Claudia è un percorso di riconoscimento che “non è per via di domande che si può arrivare ad aver pace col Galileo” ma “c’è un’altra via… farsi un cuore diverso… un cuore come quello che fu crocifisso con lui”. Dalla avversione iniziale alla comprensione di Claudia si capisce che l’incontro con Cristo non lascia indifferenti, richiede di prendere posizione: o si è amici o nemici.

Il racconto di Elena Bono ci mostra un itinerario che è anche nostro perché, come dice la protagonista della storia, “ ci sono fatti che riguardano tutta l’umanità e per sempre”. Fatti che ci mettono in discussione e dinanzi ai quali possiamo scegliere la tranquillità come suggerisce Seneca: “l’uomo… il sapiente… ha bisogno a un certo punto di riposare tranquillo in se stesso. O non è sapiente”. Seguire Cristo invece è tutt’altro, ci fa capire Claudia, è “rifiutare la serenità… lasciare i nostri dolori per prendere i suoi”.

Tante riflessioni offre la lettura di questo libro, Elena Bono introducendoci nel mondo pagano ci fa comprendere quanto è grande la rivoluzione culturale del cristianesimo: c’è un Dio che ha dato tutto e vuole tutto da noi. Oggi, come allora, “gli uomini appartengono troppo a se stessi” e l’autrice ci mostra come siamo chiamati ad una scelta che “per molti sarà la pace, e forse per quello che chiami mondo, sarà sempre la spina nel fianco”.

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